Dicono e non fanno Mt 23,1-12
Creato il 29 ottobre 2011 da Ambrogio Ponzi
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31ª DOMENICA
del TEMPO ORDINARIO
anno A
VangeloMt 23,1-12
Dicono e non fanno
Dal Vangelo secondo San Matteo
Parola del Signore
In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
"Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.
Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato".
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Iniziamo sentendoci in comunione con la Chiesa in Assisi e con lei preghiamo per la pace.La preghiera semplice fa spazio al cuore e alle persone.
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La cosa più spontanea che mi viene in questo momento è fare silenzio per riuscire ad ascoltare con sincerità queste pagine per quello che sono veramente, cioè come parola rivolta a me perennemente e personalmente, come parola rivolta al popolo a cui appartengo.
C’è una questione molto seria da considerare: l’adesione a Cristo e al Vangelo o è sincera oppure è una cosa ripugnante; è una grande responsabilità.
La prima domanda che mi viene è questa: come mai nella prima lettura Dio e nel Vangelo Gesù chiamano a giudizio non dei ladri, dei briganti, gente di male affare, bensì i migliori, i meglio, quelli che erano e si considerano tali, cioè i farisei, gente di alta cultura, quelli che tenevano comportamenti solenni nel mostrarsi in pubblico?
Come mai Gesù chiama proprio questi a giudizio?
In essi e nel loro comportamento vede una sottile tentazione. Tutti indistintamente siamo tentati dal salire, dall’andare in alto a minor prezzo, cioè guardando alle apparenze piuttosto che alla sostanza. La sostanza è faticosa, è lenta, scarnifica, richiede impegno e dono di sé; è un cammino reale, straordinariamente bello, vero, che però costa. Spesso preferiamo una bella facciata a poco prezzo.
In questo c’è un’ambiguità. Vediamo le forme di questa insidia che corrode la nostra adesione al Signore, in particolare quella dei sacerdoti, cioè degli scribi, degli studiosi della legge, degli esperti, di tutti quelli che potremmo definire la classe dirigente che ha la responsabilità di guidare il popolo.
Le forme di questa malattia dello Spirito sono :
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non vivere ciò che annunciano, cioè c’è una dicotomia tra il Vangelo annunciato e quello vissuto ;
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eliminare il fare per accontentarsi del dire; ci si accontenta della parola, si cura l’apparenza, e la forma prende il posto della sostanza; c’è contraddizione tra ciò che si dice e ciò che si opera;
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non preoccuparsi del fare; e risolvere tutto nel dire, mentre invece va ricercata la sostanza;
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l’apparenza che viene evidenziata nei posti che vengono occupati, dove uno ha l’abito adatto, viene riverito ed entra così nel circuito dei potenti senza preoccuparsi di aderire alla sostanza.
Il giudizio di Dio si esprime in questo richiamo radicale: “ Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato ”. In sostanza: chi vuole essere grande si faccia piccolo, perché se uno vuole farsi grande sarà lasciato giù.
Il Signore si ritrova in chi, anche in forme povere, cerca di vivere il Vangelo ascoltato e accolto.
Ci sono due questioni.
1- Leggere per bene questa pagina del Vangelo: ascoltare, annunciare e vivere in continuità la Parola.
Lo sforzo deve essere quello di coniugare la comprensione della Parola con la fatica del metterla in pratica per cogliere quello che realmente ci vuole dire questa pagina. Non è una pagina che gela, perché l’intento è quello di costruire, con la nostra adesione, una personalità vera e concreta.
Una persona, che nel cammino della vita fa piccoli passi, potrebbe trovarsi molto più avanti rispetto ad altri, perché mette il cuore e l’impegno sincero, e matura il desiderio di essere illuminato e guidato dal Signore.
La guida umana ha senso nella misura in cui rende concreto il magistero divino. C’è una grazia per questo anche nei singoli.
La preoccupazione è quella di non far diventare questa pagina un severo moralismo, ma rispettarla come un atto di valorizzazione da parte del Signore che ci invita a lavorarci dentro e ad essere sinceri.
2- Noi siamo chiamati a porre dei segni del Regno. Siamo così chiamati a condividere, a servire, a rischiare e a mettere in gioco delle responsabilità. Potremmo essere chiamati a diventare Papa o Presidente della Repubblica o altro.
Questa pagina ci mostra dei segni e dei comportamenti legati alla missione, che possono essere anche dei luoghi insidiosi, perché in quei ruoli viene conferito un valore pubblico legato al proprio luogo e agli spazi che si hanno a disposizione.
Questo Vangelo mi sembra ci dica: è un dovere accettare un compito, ma attenzione che può nascondere un’insidia; allora impégnati, non tirarti indietro, accetta le responsabilità, ma cura il cuore. Non ti accontentare del saluto della gente, della popolarità, della stima, della fama, ma preoccupati del cuore affinché diventi parola incarnata.
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C’è un invito nascosto che bisogna far emergere.
Gesù dice: “ Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno.”
È importante operare un discernimento per saper cogliere quello che va rispettato nel ruolo che uno ha e nell’ottica che tutti devono lavorare per un bene comune.
Bisogna saper distinguere il comportamento e la sostanza.
Non un rifiuto a priori, ma nemmeno un’accoglienza acritica, priva di discernimento.
In queste pagine si nota la delusione di Dio che aveva affidato a delle persone il compito di guidare alla salvezza il popolo e invece ne hanno fatto una questione privata legata ad interessi personali.
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Ritroviamo in questa riflessione una preoccupazione che torna spesso: la necessità di un cammino di purificazione.
Non illudiamoci di essere a posto; c’è sempre la tensione tra quella che è l’affermazione di sé, e il servizio e il dono.
Se la tensione è questa, è importante che riusciamo ad essere sinceri con noi stessi. La non sincerità del fariseo si accompagna con la chiusura in se stesso. Chiudendoci in noi stessi non cerchiamo di capire cosa ci muove.
Quando cediamo allo stile farisaico siamo dei palloni vuoti.
Questo lavoro implica l’apertura degli occhi.
Signore aiutami non solo a capire Te, ma anche me stesso, il tutto con grande libertà.
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Vi do un compito: approfondire, con il cuore, Gesù maestro, mia unica guida e certezza, perché Gesù è l’unica certezza che mostra il suo cuore.
IL RISCHIO DEL SEGNO
Il segno,
qualunque segno
( parola, rito, paramento, gesto …)
porta in sé la minaccia
della menzogna farisaica…
Dobbiamo, per questo, nasconderci
o rinnegare la nostra corporeità?
No, certo !
Anzi, possiamo raccogliere,
in questa nostra fragilità,
un richiamo alla vigilanza,
all’umiltà,
alla purezza di cuore.
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