Dieci fatti sulla prostituzione

Da Consumabili

Sul sito di Turn off the red light - campagna per l'abolizione di prostituzione e tratta in Irlanda - è riportato un interessante decalogo di dieci fatti sulla prostituzione che smitizzano altrettanti dieci miti, diffusi nel senso comune. Il decalogo è preso da una campagna inglese di ispirazione simile, Demand change.
Sotto ne riassumerò i punti.
Un breve preambolo: la campagna irlandese - promossa da associazioni anti-tratta, associazioni di donne, di uomini, di immigrati e che trova l'appoggio di diversi esponenti politici - mira all'approvazione di una legge simile a quella svedese (leggi di questo tipo oltre che in Svezia, dove è in vigore dal 1999, sono già state approvate in diversi paesi del nord Europa, come Lituania, Estonia, Islanda e Norvegia). In pratica si tratta di rendere punibile penalmente l'acquisto di prestazioni sessuali - e ovviamente lo sfruttamento - decriminalizzando invece completamente la vendita e quindi non perseguendo chi si prostituisce. Notevole passo avanti rispetto ai provvedimenti repressivi per la "decenza stradale" del nostro Paese dei sindaci-sceriffi (per fortuna su questo punto il pacchetto sicurezza ha recentemente avuto uno stop dalla Corte costituzionale) che vanno a colpire chi si prostituisce, mentre ipocritamente non si fa nulla, anzi, si finisce per favorire la domanda diffondendo ovunque un'immagine di donna-merce a disposizione e troppo poco si perseguono gli sfruttatori. Il progetto francese Choisir, che promuove l'approvazione nei paesi dell'Unione europea delle 14 leggi più favorevoli alle donne, ha scelto sulla prostituzione la legge lituana.
Sono convinta che qualunque legge possa fare ben poco o rivelarsi addirittura un boomerang, se non supportata da una complessiva azione socio-culturale ed educativa per le giovani generazioni che miri a un diverso rapporto tra i generi e a una libera sessualità, non manipolata dagli affaristi dell'industria del sesso, abbattendo gli stereotipi a causa dei quali la donna è vista come oggetto da poter comprare, usare o abusare.
Mi sembra tuttavia più che positivo che lentamente si stia affermando una visione diversa della prostituzione: non più un fatto inevitabile e "naturale" - il cosiddetto mestiere più antico del mondo - ma un prodotto "culturale", nato da una società da secoli organizzata secondo il dominio maschile, dominio che nuoce alle donne, ma anche agli uomini e che mina e imbriglia la libera espressione sessuale e temperamentale di ogni essere umano. Come acutamente afferma Lydia Cacho, il vero mestiere più antico del mondo è quello del protettore, non quello della prostituta.
Il secondo aspetto positivo mi sembra lo spostamento del focus dalla prostituta alla domanda di prostituzione, il cui abbattimento soltanto può davvero incidere sulla lotta alla tratta e allo sfruttamento sessuale di tante donne e bambine nel mondo.
Veniamo ai punti del decalogo, che qui si può leggere integralmente.
1. Il primo punto afferma che la prostituzione non è una questione di "scelta", come comunemente si dice. Si tira in ballo sempre la libera scelta della donna, così da lavarsi la coscienza, dimenticando che "molte donne hanno "scelto" di entrare nella prostituzione a causa della mancanza di scelta e che un grande numero è stata costretta da protettori o trafficanti". Inoltre sono altissime le percentuali di prostitute che hanno avuto abusi a partire dall'infanzia e la grande maggioranza delle intervistate in diverse inchieste dichiara che vorrebbe uscirne, ma spesso non sa come. In ultima analisi, l'unico che esercita di sicuro una libera scelta è l'uomo che acquista sesso e la sua scelta non fa che espandere la prostituzione e alimentare la tratta per lo sfruttamento sessuale.
2. Il secondo punto - molto interessante - è che la prostituzione non ha nulla a che vedere col sesso. Spessissimo si allude alla prostituzione come qualcosa di "libero" e "glamour", piacevolmante trasgressivo. Ma la prostituzione ha invece molto più a che fare con lo sfruttamento, la violenza e l'abuso. Le percentuali di donne prostitute che subiscono strupri da clienti e protettori è altissima, così come quella di prostitute dipendenti da droghe o affette da disordine da stress post-traumatico.
3. Nel terzo punto si demitizza la convinzione che liberalizzare del tutto la prostituzione (come attualmente in Olanda, ad esempio) possa rimuovere i danni e gli abusi causati dalla prostituzione sulle donne.
4. Nel quarto punto si dice che non è necessario regolamentare o decriminilazzare completamente la prostituzione per ottenere una migliore protezione per le donne. Sarebbe sufficiente che le forze dell'ordine facessero semplicemente il loro dovere nel punire la violenza, indipendentemente da chi la subisca. La legalizzazione conduce all'espansione dell'industria del sesso, senza eliminare le violenze.
5. Nel quinto punto si dice che c'è unanime accordo tra tutti i gruppi attivi di donne sul fatto che chi vende atti sessuali non deve essere colpito in alcun modo.
6. Nel sesto punto si smitizza la credenza diffusa che legalizzare la prostituzione possa rimuovere lo stigma che esiste contro queste donne. Lo stigma in effetti è proprio strutturale a un sistema che notoriamente è misogino e basato su una visione della donna in generale ben diffusa tra protettori e clienti come oggetto di piacere da usare e disprezzare allo stesso tempo. Si dice in questo punto che "normalizzare la prostituzione rende invisibile l'abuso, e trasforma protettori e clienti in affaristi e legittimi consumatori". Riconoscere la prostituzione "un lavoro come un altro" chiude gli occhi sulla violenza, la povertà e l'emarginazione che conducono generalmente le donne nella prostituzione e ostacolerebbe l'azione di tutte le associazioni che supportano le donne per aiutarle a uscire dal giro. "Perché dovrebbero servire strategie per uscire da un normale lavoro?".
7. Nel settimo punto si dice che legalizzare la prostituzione indoor non mette al sicuro le donne, essendoci spesso maggiori violenze e controllo delle donne proprio al chiuso.
8. Nell'ottavo punto si dice che decriminalizzare la prostituzione diffonde il messaggio che quest'ultima è innocua.
"Legalizzare o decriminalizzare completamente l'intera industria diffonde un messaggio per le giovani generazioni di ragazzi e uomini che le donne sono oggetti sessuali e che la prostituzione è un innocuo divertimento. E' questo che vogliamo, che i giovani uomini crescano con l'idea che è normale per un uomo avere il diritto su una donna di usarla come merce sessuale? Che significato hanno i nostri sforzi per combattere le molestie sessuali e la violenza domestica maschile, sul lavoro e in strada se gli uomini possono comprare il diritto ad esercitare lo stesso tipo di atti su donne e bambine prostituite? Legalizzare o decriminalizzare l'intera industria della prostituzione normalizza un'estrema forma di subordinazione sessuale, legittima
l'esistenza di donne di "serie b", rinforza il dominio maschile, e mina le lotte per la parità tra i generi. E' tempo ormai di iniziare a contrastare gli atteggiamenti di chi trova accettabile vedere e trattare le donne come oggetti sessuali contrastando la domanda di servizi sessuali a pagamento".
9. 10. Negli ultimi due punti si dice che, mentre la legalizzazione ha portato ad un'espansione dell'industria del sesso e della tratta, leggi come quella svedese che colpisce l'acquisto di sesso a pagamento, hanno invece portato a una riduzione notevole del fenomeno. "In Nuova Zelanda la completa decriminalizzazione ha portato a un'espansione del settore illegale che ammonta all'80% dell'industria complessiva e secondo il sindaco di Amsterdam "è impossibile creare una zona sicura e controllabile per le donne che non sia suscettibile a infiltrazioni da parte delle organizzazioni criminali". Al contrario in Svezia "c'è stata una significativa riduzione della tratta e della prostituzione con una stasi nel reclutamento di nuove donne".

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