Vista aerea dell’Osservatorio LIGO ad Hanford. Crediti: LIGO Laboratory
Meglio di LIGO, ora, c’è Advanced LIGO. L’osservatorio di onde gravitazionali negli Stati Uniti è stato aggiornato e si appresta a tornare operativo, per dare con ancora maggiore incisività la caccia alle elusive onde gravitazionali, grazie a una serie di migliorie che lo rendono dieci volte più sensibile a questi segnali.
«Abbiamo passato gli ultimi sette anni a costruire il più sensibile rivelatore di onde gravitazionali mai realizzato» dice David H. Reitze, direttore esecutivo del progetto LIGO, in occasione della cerimonia di inaugurazione di Advanced LIGO programmata per oggi. «I test preliminari finora sono andati molto bene e non vediamo l’ora di fare sul serio, con la prima serie di osservazioni di Advanced LIGO previste per la fine di questo anno. E’ un momento davvero eccitante per chi si occupa di questi argomenti!»
Ciascuno dei due interferometri ad “L” lunghi quattro chilometri che compongono LIGO (Laser Interferometer Gravitational-wave Observatory), uno ad Handford e uno a Livingston, nello stato della Lousiana, sempre negli USA, sfrutta raggi laser per individuare il transito di onde gravitazionali. I laser, che viaggiano all’interno dei tubi a vuoto, permettono di misurare con una precisione elevatissima la distanza tra i due specchi su cui si riflettono questi raggi. Secondo le predizioni della relatività di Einstein, la distanza relativa tra questi specchi varia leggermente durante il passaggio di un’onda gravitazionale. LIGO era già in grado di rilevare una variazione di questa distanza fino alla soglia di un millesimo delle dimensioni di un protone. Ora, con i nuovi aggiornamenti, si spinge addirittura fino a una sensibilità dieci volte superiore, ovvero è in grado di percepire contrazioni o allungamenti di un decimo di miliardesimo di miliardesimo di metro (10-19 m)!
Una capacità che rende LIGO ancora più promettente nell’individuare segnali legati a particolari eventi astrofisici: le fasi finali della fusione di due buchi neri massicci a esempio, oppure quelli prodotti da pulsar, stelle di neutroni in rapida rotazione, che possono emettere onde con frequenze comprese tra 500 e 1.000 Hertz. O magari sondare il fondo cosmico gravitazionale, permettendo di mettere alla prova le teorie che descrivono l’evoluzione dell’universo appena 10-35 secondi dopo il Big Bang.
Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Galliani