Dietro l’omicidio di Boris #Nemtsov, la lotta per il potere in #Russia

Creato il 20 marzo 2015 da Luca Troiano @LucaTroianoGPM

A quasi un mese dal fatto non conosciamo ancora il mandante e il movente dell’assassinio di Boris Nemtsov. La pista cecena, che ha già portato all’arresto di 4 persone e al suicidio di una quinta, non ha finora chiarito le ragioni nascoste di chi voleva la morte del politico russo. Quale che sia la verità, l’omicidio potrebbe avere degli importanti riflessi nel quadro delle alleanze al vertice del potere russo. Perché, al netto delle teorie complottiste circa un coinvolgimento esterno, l’intera vicenda va letta e giudicata soprattutto per le sue implicazioni interne.

E’ stato il Cremlino, ma anche no

All’inizio gran parte della stampa europea ha puntato il dito contro il presidente Vladimir Putin. In effetti non pochi elementi lascerebbero supporre un’accurata manovra dall’alto: la logistica; l’arma usata (una pistola Makarov, in dotazione alle forze di polizia russe e dll’esercito); l’annuncio di un’inchiesta per omicidio appena pochi minuti dopo che la notizia della morte di Nemtsov fosse stata diffusa; l’affidamento dell’indagine al Comitato Investigativo della Federazione Russa (Skr), organismo tutt’altro che neutrale, più potente persino dell’FSB (l’ex KGB), che risponde direttamente a Putin; le dichiarazioni di Vladimir Markin, portavoce del Comitato, che fin da subito ha tirato in ballo gli estremisti islamici.a causa dello sdegno di Nemtsov per la carneficina di Charlie Hebdo.

Eppure l’esperienza insegna che in Russia non è difficile togliere di mezzo un personaggio scomodo senza fare troppo rumore. Negli ultimi anni i grossi calibri dell’opposizione sono stati fatti oggetto di dure campagne di delegittimazione tramite, ad esempio, l’invenzione ad arte di scandali finanziari e di corruzione – si pensi a Mikhail Khodorkhovskij. La magistratura non avrebbe fatto fatica a “ritrovare” negli archivi dei servizi segreti un fascicolo sul suo conto per screditarlo. L’eliminazione fisica, al contrario, fin dai tempi dell’URSS è riservata ai pesci piccoli e avviene in modo da destare meno “rumore” possibile, adottando cioè tecniche discrete che vanno dall’avvelenamento all falso incidente stradale.

Chi ha colpito Nemtsov, invece, sembrava che di rumore volesse farne proprio tanto. I sicari lo hanno ucciso mentre attraversava il ponte Moskvoretsky, vicino alla Piazza Rossa e a due passi dala residenza di Putin, in una delle aree più sorvegliate di tutta Mosca, sotto gli occhi delle telecamere di sorveglianza. A Mosca le minacce e le intimidazioni indirizzate ad esponenti dell’opposizione sono all’ordine del giorno, ma come ha dichiarato a caldo l’ex Primo mnistro Michail Kasjanov: “Che un leader dell’opposizione possa essere ucciso a poche centinaia di metri dal Cremlino va oltre ogni immaginazione”.

Ma Nemtsov era davvero un’alternativa a Putin?

Al contrario di quanto raccontato al di qua dell’ex Cortina di ferro, Boris Nemtsov non rappresentava affatto una minaccia per l’establishment russo. Già viceprimo ministro della Federazione Russa durante l’ultima presidenza di Boris Yeltsin – e all’epoca considerato il suo erede più probabile – con l’avvento di Vladimir Putin era stato relegato al ruolo di personaggio di secondo, terzo piano. I suoi velleitari tentativi di guidare l’opposizione liberale non erano mai stati sufficienti dirottare verso se stesso o verso un candidato da lui appoggiato un numero di voti così consistente da poter impensierire il presidente in carica. Negli ultimi anni la sua figura era anche oscurata da altri personaggi più popolari (e populisti) come Alexei Navalny e, prima di essere ucciso, ricopriva il modesto incarico istituzionale di consigliere nell’oblast di Yaroslav. Troppo poco per considerarlo un’alternativa politica allo zar Putin.

La visibilità mediatica di cui Nemtsov godeva al di qua dell’ex Cortina di ferro era del tutto sproporzionata rispetto al suo peso politico reale. Come ha sottolineato Stefano Grazioli, esperto di Russia e spazio postsovietico: “L’Occidente politico e mediatico ha affibbiato troppo frequentemente l’etichetta di dissidente a personaggi che in Russia erano considerati criminali”, aggiungendo che: “Il discorso vale per tutti gli altri esponenti dell’opposizione extraparlamentare russa, che in questi anni, per ovvi motivi, hanno fatto essenzialmente politica più davanti alle telecamere della Cnn che non sul campo”, Pertanto, non possiamo dare torto al portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, secondo il quale Boris Nemtsov era “poco più che un cittadino comune”.

Pare che egli stesse lavorando ad un dossier sulla presenza dei militari russi in Ucraina, ma è difficile verificare l’attendibilità di simili notizie; senza contare che le manovre dell’esercito di Mosca, sia pur in veste non ufficiale per opera dei famigerati Spetznaz – i reparti speciali senza insegne né mostrine – è ormai acclarata da tempo.

L’assassinio in prossimità del Cremlino di un leader dell’opposizione, che pochi giorni prima prima aveva dichiarato di temere di finire ammazzato per mano del potere, a due giorni da una grande manifestazione che aveva organizzato per protestare contro quello stesso potere e il suo diretto coinvolgimento in Ucraina, e che di conseguenza si è trasformata in un corteo funebre con decine di migliaia di partecipanti, con gli occhi del mondo puntati da mesi su Mosca, era la peggiore pubblicità che il presidente potesse augurarsi.

In altre parole, Putin, non aveva nulla da guadagnare dalla morte del suo avversario. Al contrario, se prima il peso politico del povero Nemtsov era scarso, adesso da morto è diventato pari a quello di un macigno, perché offre un argomento in più a quanti contestano il potere autocratico del presidente russo

Qui viene il bello. Sappiamo che in tanti ricaverebbero un vantaggio dalla delegittimazione politica di Putin, se non dalla sua definitiva uscita di scena; si sa un po’ meno che la maggior parte di loro si trova non in Occidente, bensì all’ombra del Cremlino.

Il ruolo degli oligarchi

Nel crepuscolo dell’era ieltisiniana, Nemtsov è stato artefice del processo di privatizzazione dell’economia russa, che gli valse i complimenti di Margaret Thatcher ma che ha spartito a prezzi di saldo le ricchezze nazionali tra gli uomini del vecchio regime comunista e quelli della nuova élite. Ha contribuito a creare quella casse di oligarchi che oggi tiene in pugno il Paese. Non solo conosceva tutti i segreti della nuova Russia, ma prima di rompere con l’attuale potere aveva intrattenuto rapporti con i personaggi che ne detengono le redini.

L’ex vicepremier conosceva molto bene l’architettura di potere in Russia e le sue crepe. In un’intervista rilasciata ad Open Democracy nel 2011, dopo un periodo di due settimane di detenzione in carcere, l’ex vicepremier aveva quasi prefigurato gli attuali scenari in Ucraina, con annessi risvolti sull’economia russa e sul rublo in caduta libera. Lo scorso anno aveva pubblicato un lungo rapporto in cui sosteneva che almeno 30 dei 51 miliardi ufficialmente spesi per organizzare le Olimpiadi invernali di Sochi fossero stati rubati.

Proprio i Giochi di Sochi sono un capitolo controverso nei rapporti tra Putin e i grandi ricchi, già penalizzati dalle sanzioni economiche in conseguenza dell’avventurismo militare in Ucraina. L’organizzazione e la realizzazione dell’evento hanno distrutto la città, senza benefici reali per l’economia del Paese né tanto meno profitti per i capitani d’industria. Molti di loro sono stati chiamati a partecipare controvoglia, probabilmente dietro la velata minaccia di non fare più affari col Cremlino in caso di rifiuto; adesso cercano di sbarazzarsi delle faraoniche e ipercostose strutture scaricandone i costi sullo Stato. Per Putin la scelta è obbligata: o li accontenta (scontentando la massa) e li mantiene fedeli, o non scende a patti e si crea nuovi nemici, magari schierati proprio con Nemmtsov che, come ricorda l’analista Bernard Guetta, era l’unico oppositore preso sul serio dai grandi capitalisti.

Conclusioni

Per quindici anni l’élite economica è stata uno dei pilastri del potere di Putin e l’assassinio di Boris Nemtsov può essere l’atto che certifica la crisi di questo connubio. Dietro la sua morte potrebbero esserci tanto il tentativo degli oligarchi di indebolire Putin quanto un avvertimento del Cremlino circa il destino che li attende. In entrambi i casi il messaggio è stato “inviato” tramite lo stesso mezzo: l’altro pilastro del regime, ossia gli apparati di sicurezza, probabili esecutori del delitto. Forse la chiave del mistero di trova proprio qui.

* Originariamente apparso in forma ridotta su The Fielder


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