La nostra lingua deve essere difesa, arricchita e valorizzata, solo così potremmo avere sempre voce in capitolo in ogni contesto e imporre la nostra lingua, il nostro lavoro, la nostra cultura e traduzioni come fra le più importanti del pianeta, così come in effetti è.
Nel web c’è chi sa scrivere e chi no. C’è chi conosce la lingua italiana e chi fa di tutto per distruggerla. C’è chi non si accorge dei propri errori di grammatica, perché la sua ignoranza non glielo permette, e c’è chi usa termini inglesi nella convinzione di porsi a un livello più alto rispetto agli altri.
Chi si occupa di marketing tende a usare parole inglesi per crearsi un’immagine. Non parlo di parole entrate nell’uso comune della lingua, parole intraducibili come home page e web, ad esempio, parlo di termini che non avrebbero dovuto entrare nella nostra lingua, semplicemente perché ne esiste il corrispettivo e, soprattutto, perché il corrispettivo è di più immediata comprensione.
Ma usare queste parole è, agli occhi dei meno esperti, sinonimo di professionalità, di elevata esperienza nel campo, di capacità e competenza.
Il meccanismo del copia e incolla o effetto virale
In realtà l’uso di questi termini è soltanto un volgare e banale copia e incolla che si protrae da anni in Italia, da quando qualcuno ebbe la geniale idea di introdurre nel proprio linguaggio e, quindi, nei propri testi, parole prese dal vocabolario britannico. Se vogliamo restare nella nomenclatura del marketing, questo è un effetto virale: il risultato non cambia.
Se l’azienda A usa quei termini, l’azienda B tenderà a usarli. E il virus si propaga, minando la lingua italiana.
Esempi comuni di virus nel linguaggio italiano
Perché parlare di experience lavorativa? Che cosa è? E’ forse l’esperienza lavorativa? E allora perché scrivere experience e non esperienza?
Perché richiedere delle skills per un determinato lavoro? Non è forse più giusto, corretto, comprensibile, italiano richiedere delle competenze?
Perché scrivere che l’incontro si terrà in una location ben attrezzata? Non si terrà forse in un posto, in un luogo attrezzato?
Le aziende italiane, da qualche anno a questa parte, non hanno più concorrenti, bensì competitor. Non so perché i concorrenti italiani siano morti e siano subentrati loro i competitor d’oltre confine.
Immaginate un dialogo del genere:
“Hai sentito? Quell’azienda ha addirittura i competitor… è quella che fa per noi!”
Non si paga più sul posto, ma on site.
Non si ha più una politica aziendale, ma una mission. Le aziende e i professionisti italiani sono divenuti improvvisamente dei missionari.
Ma gli esempi potrebbero, purtroppo, continuare per molto. La mia idea è che questi marketers… ops, scusate… questi esperti di marketing non sappiano più scrivere nella propria lingua, hanno ormai assimilato un modus operandi che inconsapevolmente li obbliga a servirsi di parole inglesi per potersi esprimere.
La verità è che questo linguaggio forzatamente misto non è indice di grandi competenze lavorative, ma soltanto una forma semi-innocua di inganno. E’ una sorta di esca, lanciata per far abboccare il pesce che naviga nel web.
Il vero esperto di marketing è colui che sa farsi capire con parole semplici, non colui che usa l’inglese per darsi un tono. Quest’ultimo dovrebbe tornare alla prima elementare o trasferirsi a Londra.