Cari lettori, ecco una mia inchiesta apparsa sul settimanale L’Espresso: parla dello straordinario boom dell’ IT in India, degli ambiziosi investimenti in atto e delle contraddizioni della sua “capitale digitale”, Bangalore. Attendo i vostri commenti, buona lettura.
«Ogni giorno mille persone si trasferiscono a vivere a Bangalore, ogni giorno qualche multinazionale apre una nuova sede o un centro di ricerca in questa metropoli dell’India meridionale. Bangalore (o Bengaluru, nuovo nome ufficiale della città) ha un’enorme capacità di attrazione e la ragione è ormai nota: è uno snodo mondiale dell’Information Technology, dove i protagonisti si chiamano Accenture, Infosys, Wipro e Tata Consultancy Services. A Bangalore si produce più del 30% del software totale esportato dall’India, e non per caso il Karnataka (dove si trova la città) è il primo Stato indiano ad avere creato un Segretariato nazionale per la e-governance. In questa Silicon Valley asiatica si coltivano ambiziosi piani di espansione: Amazon (presente in India dal 2004) aprirà presto a Bangalore una delle sedi più grandi del mondo, che nei prossimi 3 – 5 anni darà lavoro a 13.000 persone. Apple ha annunciato l’apertura di ben 500 nuovi negozi in India entro la fine del 2015. E Mercedes Benz ha appena inaugurato a Bangalore il secondo Centro Ricerca scientifica e sviluppo.
Ogni giorno decine di migliaia di persone in India si connettono a Internet per la prima volta in vita loro. Secondo il rapporto “Internet in India 2014” oggi gli internauti indiani sono 300 milioni: pochi o molti? Ancora pochi, se si considera che l’India ha un miliardo e duecento milioni di abitanti; moltissimi, invece, se si considera il tasso di crescita della Rete indiana: nel 2014 è aumentata del 32% rispetto all’anno prima. Altri esempi di questa rapidissima rivoluzione? La vendita di tablet è cresciuta del 10% in un anno, e l’India è ormai la seconda nazione al mondo per numero di utenti Facebook (95 milioni) preceduta soltanto dagli Stati Uniti.
L’utilizzo massiccio dei social media da parte dei giovani indiani sta rivoluzionando il modo di intendere le relazioni fra persone nonché i riti della società stessa: che fine farà, per esempio, l’antica tradizione indiana del matrimonio combinato tra famiglie, se i ragazzi si corteggiano a distanza mettendo video autoprodotti su Youtube, senza che i genitori lo sappiano? Vari esempi di queste video-relazioni made in India li abbiamo visti anche in Italia nella sezione Online Stories del River to River – Florence Indian Film Festival, la quattordicesima edizione del festival del cinema indiano tenutasi a Firenze nel dicembre 2014 e che avrà una “coda” a Milano nella primavera 2015.
In questa gara mondiale all’uso dei social media occidentali l’altro gigante asiatico, la Cina, per ora è assente perché i cinesi usano quasi soltanto i propri social network, come Renren e Sina Weibo, e i propri motori di ricerca, come Baidu. Tuttavia ci sono grandi imprenditori cinesi che cominciano a guardare anche all’India. È il caso di Jack Ma, fondatore della più grande azienda di e-commerce del mondo, la cinese Alibaba, che di recente si è detto pronto ad investire in India perché «Internet è un business giovane rivolto ai giovani e l’India ha moltissimi giovani».
Agli occhi delle multinazionali dell’IT la crescita dei giovani indiani informatizzati assomiglia sempre più a un alveare pieno di miele. Ovvio che intorno all’alveare voli un nugolo di api ronzanti, che puntano al cuore dell’alveare informatico: Bangalore. Una di queste api ronzanti è Paypal: nel 2015 aprirà in città una sede di Start Tank, il suo incubatore di startup. Le neonate aziende e i loro giovani guru informatici verranno sostenuti e coccolati per un anno, a prescindere dal fatto che i loro prodotti rientrino o no nelle strategie di Paypal, e dopo un anno si deciderà se il business può funzionare. Un altro incubatore di nuovi prodotti e iniziative – pubblico questa volta – è l’Ideathon, cioè l’ “Internet of Things Ideathon”, una libera competizione a premi fra studenti e professionisti dell’IT che si è tenuta alla PES University di Bangalore dal 3 al 5 gennaio 2015. D’altronde, valorizzare la formazione scientifica e tecnica qui è ritenuta una priorità pubblica, tanto che fra le varie iniziative in corso in città c’è la realizzazione di una Galleria delle Scienze, un museo interattivo concepito per i ragazzi fra i 15 e i 25 anni (sul modello di quello di Londra) che sarà il più grande museo scientifico del mondo.
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Ovvio che siano i giovani membri del nuovo clero informatico la casta dominante dell’odierna Bangalore. Si sono formati nelle università di eccellenza di cui è ricca la città: la Visvesvaraya Technological University, il Bangalore Institute of Management, l’Indian Institute of Science e la storica Bangalore University. È interessante notare come gli studenti, anche dopo la laurea, rimangano legati ai propri luoghi di studio: a un osservatore italiano fa un certo effetto sapere che la Bangalore University sta costruendo una hall dove i propri ex studenti potranno venire a sposarsi. Dopo l’università vengono subito assunti nelle aziende di IT che caratterizzano la città, lavorano dodici ore al giorno e la notte si ritrovano nei “loro” locali, come l’Insomnia, il NASA, l’I-Bar, l’Athena o il Club Inferno.
Ma i chierici informatici della città ora sono sotto shock: uno di loro ha “tradito”. Mehdi Masroor Biswas è stato arrestato con l’accusa di essere il gestore segreto di un account Twitter che reclutava militanti per l’Isis – il cosiddetto califfato islamico di Al Baghdadi – da inviare a combattere in Siria e in Iraq. Ad arrestarlo è stato un altro ingegnere informatico, il giovane vicecommissario di polizia Abishek Goyal, che ora sta indagando sui 17.700 followers dell’account Twitter di Biswas. «Com’è possibile che uno di noi sia impazzito e abbia fatto reclutamento per i terroristi dell’Isis?», si chiedono ora costernati a Bangalore. Una domanda che, del resto, oggi ci si pone pure in Occidente.
Ma la città oggi è scossa anche da altri problemi, primo fra tutti la propria stessa crescita. Bangalore ha raggiunto i 10 milioni di abitanti e attira immigrati dalle campagne in una quantità che non sembra più gestibile. L’acqua corrente arriva nelle case soltanto per quattro ore e mezza al giorno e dev’essere razionata e conservata. In città circolano i due terzi delle automobili di tutto lo tutto lo Stato del Karnataka e il traffico automobilistico è diventato infernale. I progetti di metropolitane e superstrade tardano a realizzarsi per la classica lentezza della burocrazia indiana, mentre l’introduzione dei primi autobus elettrici appare per ora del tutto insufficiente. Bangalore, che un tempo era nota come la “città-giardino” dell’India, oggi soffre di un inquinamento soffocante e di uno sviluppo urbanistico fuori controllo. Oltre a ciò, si allarga in modo evidente la forbice sociale fra ricchi e poveri, fra chi è già integrato nella modernità e le masse di contadini che, carichi di debiti verso i proprietari terrieri, emigrano in città portando con sè una cultura pre-moderna.
Bangalore è in transizione e i suoi problemi sono quelli dell’India stessa, un Paese così grande che le sue diverse parti vivono in secoli differenti. Il premier indiano Narendra Modi ha lanciato per i prossimi anni un gigantesco piano, Digital India, per informatizzare il Paese, estendere le connessioni a banda larga, collegare telefonicamente i villaggi agricoli ancora scoperti, creare 100 Smart Cities. L’avanguardia del piano è Bangalore, dove il presidente dell’India Pranab Mukherjee ha appena presentato il progetto Mobile One, un’ambiziosa piattaforma di e-governance che dovrà assicurare ai cittadini l’accesso a quattromila tipi di servizi, pubblici e privati. Riuscirà l’India a superare il digital divide fra i guru informatici e i contadini analfabeti?
Marco Restelli