Deianira, come altre eroine del teatro sofocleo, condensa nella sua esperienza di vita tutto il dramma dell’umana esistenza.
Ella si trova con i suoi figli a Trachis, ospite del re Ceice. È in ansia per il marito lontano che da quindici mesi non dà notizie di sé. Decide così di mandare il figlio Illo in cerca del padre, mentre intanto Lica, l’araldo di Eracle, giunge accompagnato da un corteo di schiave, bottino della recente vittoria dell’eroe.
La regina promette di trattare tutte benevolmente e intanto chiede notizie di una schiava che l’ha particolarmente colpita per il portamento nobile e triste: é Iole, figlia dello sconfitto re Eurito. Saputo dell’amore di Eracle per la giovane, Deianira è sconvolta e, per riconquistare l’amore dello sposo, decide di ricorrere ad un filtro magico, il sangue del centauro Nesso offertole da costui prima di morire colpito a morte da una freccia scoccata da Eracle per aver tentato di usare violenza alla stessa Deianira.
Pertanto invia all’eroe una tunica impregnata di tale sangue che invece si rivelerà un potente veleno. Ritorna Illo: maledicendo la madre le conferma il tremendo effetto del dono funesto che divora inesorabilmente le carni del padre.
Deianira esce dalla scena , atterrita e muta di dolore. Poco dopo si apprenderà dalla nutrice che ella si è uccisa sul letto nuziale.
Il Coro si domanda con angoscia e senza risposta se sia da considerarsi più infelice la sorte di Deianira che giace cadavere nella reggia o quella di Eracle che sta per giungere moribondo alla sua casa.
A rendere la vicenda più colma di pathos vi è la solitudine che fa da sfondo spesso alla sofferenza umana. Priva di qualunque presenza amica intorno a sé, Deianira cerca, come spesso accade anche oggi, conforto negli oggetti che le sono familiari, rivolgendosi ad essi e al letto nuziale, come se soltanto in essi potesse trovare quell’ affetto che nessuno è riuscito a darle, per indifferenza, o per troppo affrettato giudizio negativo. É significativo il fatto che la morte di Deianira, come in genere quelle delle eroine sofoclee, avvenga nel silenzio, nella parte più interna della dimora, nel talamo, che era anche il simbolo della vita della donna che si realizza soltanto nelle istituzioni che la legano ad un uomo: il matrimonio e la maternità.
Eppure in Deianira vi è qualcosa di più profondo accanto alle qualità più tradizionali del suo carattere: il tentativo di giungere, attraverso l'indagine di sé, ad una più completa autocoscienza.
Complessità e drammaticità, dunque, ma anche pretesto, per considerare alla luce di nuovi valori di civiltà i confini della dignità umana, della responsabilità individuale e delle conseguenze che l'agire umano può, a torto o a ragione, determinare sul prossimo.
La messa in scena della tragedia sofoclea si prefigge, con il metodo della ricerca, ancora una volta di ampliare attraverso la scenicità la sfera di interessi suscitati dalla lettura meditata del testo poetico e dallo studio del teatro greco.
Con la rappresentazione scenica si mira non solo allo sviluppo del senso artistico, ma anche all’espressione dei sentimenti attraverso la gestualità e soprattutto attraverso la parola recitata che offre, nella varietà tonale, le sfumature dei pensieri e la resa del carattere dei personaggi.
La validità del testo è dovuta anche al particolare svolgersi dell’azione in cui lo snodarsi degli eventi attrae per il contrasto di moto e quiete, di allegria e angoscia; nonché per l’atmosfera di sofferenza e di solitudine che coinvolge lo spettatore nelle sequenze che scandiscono la vita dei personaggi.
Si presenta così sempre attuale il valore del ruolo della famiglia, del rapporto figli-genitori (vedi Illo, Eracle e Deianira). E un filo conduttore alla comprensione della tragedia sono le parole del Coro nei due interventi in cui si esalta la potenza di Cipride, dea dell’amore, che si è rivelata autrice di questi eventi: ancora una volta nella vita, Amore e Morte legati insieme (Eracle-Iole-Deianira). Forse è anche nostra la meditazione del Coro sulle due sorti, quella di Deianira e quella di Eracle moribondo: “Delle due non sai quale sia più infelice”.
Un dramma sottolineato dal canto e dalla musica che ci porta dai lontani secoli il travaglio dell’esistenza.