Eli Roth
USA, 2013
103 minuti
Due libere impressioni sull'ultima fatica dello scanzonato Eli Roth, film che il tam tam mediatico sul possibile disseppellimento dalle ceneri di quel filone italo-cannibalico che vide il suo periodo di gloria a ponte tra gli anni Settanta e Ottanta, ha spinto inevitabilmente alla curiosità, essendo il sottoscritto da sempre un estimatore dei "filmacci" nostrani nudi e crudi realizzati in tal periodo. Risonanze di tale vecchia scuola, in effetti, in The Green Inferno trapelano (iconograficamente parlando), ma è anche vero che nudità ed efferatezze trovano, di fatto, un certo limite (anche per inventiva - il primo smembramento è senza dubbio forte, ma la decapitazione della calotta cranica in Cannibal Ferox - qui, o il taglio del seno in Mangiati Vivi, restano tuttora dei must ineguagliabili), in un cinema dove vige inalterata la pruderie dell'America capitalista (motivo in più per diffidare delle voci che lo descrivono come qualcosa d'insopportabile alla vista, divieto ai minori di diciotto totalmente insensato) che ad oggi impone l'occultamento delle nudità persino nella giungla, ma di contro, puoi assistere a una decapitazione in diretta poichè lì, il cosiddetto pelo pubico non c'è. È quindi lecito non aspettarsi nulla in più di quanto Roth inscena, con spirito faceto, sciente dei limiti che l'industria mainstream esige; tant'è che di conseguenza, anche il terribile momento dell'infibulazione preavvisato in apertura al film, logicamente non avverrà, essendo qualcosa che poteva visivamente realizzarsi negli Ottanta, ma non di questi tempi. Chiarito ciò (che poi magari uno corre al cinema aspettandosi di vedere chissà quali atrocità), il film di Roth riesce comunque a costruirsi un proprio apprezzabile percorso, fortunatamente, sovvertendo per prima cosa alle voci che lo promuovevano come un remake, seppur non ufficiale, dell'eccessivamente inneggiato Cannibal Holocaust di Deodato. Semmai si dovessero cercare analogie specifiche con il passato, il modello di riferimento cadrebbe piuttosto sul già sunnominato Cannibal Ferox di Lenzi (che nessuno menziona, ma che è decisamente preferibile - a modesto avviso), del quale Roth ricalca, quello sì, un finale pressochè identico (cazzata dei post-credits a parte, tutta hollywoodiana, nota stonatissima assieme alla solita scelta musicale priva d'inventiva), svelandone oltremodo lo stesso messaggio sociale deposto dalla superstite di turno, per il quale una convivenza è possibile, gli indigeni dell'Amazzonia sono pacifici e il cannibalismo non esiste, se non come diretta conseguenza al cinico arrivismo e alle barbarie del cosiddetto "mondo civile". Ma a conti fatti non sono le morali (oramai sature, di questi tempi), nè tanto meno uno script pedestre, i punti di attrattiva verso The Green Inferno, che non assurge a nessuna pretesa emulativa (se non perequativa), per funzionare esclusivamente come puro divertissment. Proprio per quel suo non prendersi sul serio e quelle trovate paradossali (i cannibali ebbri di marijuana, ad esempio) e quell'humor scatologico che Roth, consapevole del risultato/reazione anche nelle situazioni (che dovrebbero essere) più drammatiche, c'infila goliardico, giocando destramente con i tipici stereotipi del b-movie più storicizzato (a cominciare da una caratterizzazione dei personaggi dove sappiamo già, ad esempio, che la stronza di turno sarà una delle prime a schiattare) e contestualizzando il tutto, ovviamente, al nostro tempo (l'attivismo si celebra quindi nell'etere; i mezzi per la causa non sono più i video in super 8, o il ritrovamento di falsi footage, ma l'immediatezza di una ripresa effettuata con lo smartphone da poter diffondere in streaming). E come suscritto, lo fa discostandosi dalla mera replica, dal citazionismo fine a sè stesso per realizzare quello che a conti fatti è, il suo film; la sua personale prospettiva su quella determinata corrente di film. E il tutto risulta alla fine godibile e, cinto nel suo sarcastico territorio rosso-verdeggiante, The Green Inferno, semplicemente funziona.
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