Questa mattina, la prima in cui il termometro è sceso sotto lo zero seppur solo di un paio di gradi, mi sono recato come sempre alla stazione del mio paesello di 5000 anime. Le facce erano le stesse di ogni mattina, così come i posti di attesa sul marciapiede.
Il treno arriva con 10 minuti ritardo (ormai sotto il quarto d’ora la vocina elettronica non ti avvisa nemmeno più), ma non è il solito con i vagoni a due piani risalente ad oltre vent’anni fa… in questa rigida mattinata di fine novembre Trenitalia ci ha regalato un Vivalto nuovo di zecca (pulito e senza scritte fatte con le bombolette sull’esterno) con addirittura sei carrozze invece delle solite quattro!
Contento per un inizio di settimana tutto sommato positivo (i ritardi sotto i 15 minuti sono sinonimo di puntualità), salgo sul treno e, incredibilmente, davanti a me si apre uno scompartimento praticamente vuoto. Non abituato a tanta disponibilità di posti a sedere, fatico per qualche istante a credere ai miei occhi.
Tolgo lo zaino dalle spalle, lo sistemo su un sedile e mi accomodo su quello a fianco; pregustando un viaggeto comodo e silenzioso, chiudo gli occhi. Passano pochi secondi ed un brivido percorre il mio corpo… la carrozza è senza riscaldamento! Avendo visto un treno nuovo, avevo dato per scontato il suo completo funzionamento, ma con Trenitalia questo è un errore che può rivelarsi fatale.
Che fare, quindi? Restare comodamente seduto nel silenzio, ma al freddo… oppure cercare un vagone riscaldato (col rischio di trovare temperature equatoriali), ma essere costretto quasi sicuramente a viaggiare in piedi rinunciando a qualche minuto di sonno?
Opto per la prima opzione e torno a chiudere gli occhi rannicchiandomi il più possibile nel mio giaccone.
Alla stazione di Torino Porta Susa giunge il momento di scendere. Il naso è congelato, mentre la circolazione sanguigna delle gambe viene riattivata soltanto camminando verso la metropolitana.