Mi si lasci spendere qualche parola di conforto per le persone i cui nomi sono celebrati da canzoni di successo e subiscono come costante della loro vita gli accostamenti ai personaggi a cui la canzone stessa è stata dedicata dall’autore o, peggio, i più discutibili adattamenti. Sappiamo infatti che le parodie delle liriche pop sono uno dei peggiori esempi di umorismo fatto in casa, diffidate da chi vuol farvi ridere con questo tipo di personalizzazioni a meno che i vostri conoscenti non frequentino la scuola media inferiore. Massima solidarietà invece a chi ogni volta in cui viene presentato a qualcun altro è esposto per l’ennesima volta al celebre ritornello di questo o quell’altro cantante, nei casi estremi con l’intento galante di fare colpo, credendo che il destinatario di tale citazione ne sia grato quando invece, nel migliore dei casi, ne ha i coglioni pieni. Quindi mi riferisco, partendo dalla mia generazione, a tutti i Paoli maledetti che non l’hanno detto mai e ai Vincenzi che, troppo stupidi per vivere, correvano addirittura il rischio di morte, entrambi tra i cavalli di battaglia dei caratteri più esilaranti. Ci sono stati poi i Luca inquilini del piano superiore e, più di recente, gli stessi che erano gay. Poi le Francesche che non erano loro perché ci si sbaglia sempre quando si vedono. Gli accorati inni evergreen a Giulia, che in diverse epoche è stata prima cara e unica, poi brava e infine immensamente sé stessa, che è un po’ l’apoteosi. Le Sare che cadonoin letargo per poi svegliarsi a primavera. Le Caterine che, alate, arrivano al mattino e le Valentine che – solo loro – possono appurare se qualcuno si dilunga troppo sullo stesso argomento. Quindi, cara Valentina, chiudo qui aggiungendo solo che mi è venuto in mente tutto questo perché ho conosciuto una Albachiara, che vi assicuro non si sentiva nemmeno respirare, probabilmente non voleva essere rumorosa e, visto il nome, farsi notare il meno possibile.
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