Dilma e silvio - da latinoamerica -

Da Astonvilla

Lo so che per i nostri giornali è più interessare “strillare” una notiziola assolutamente improbabile come quella che inventa una “contesa” fra la blogger Yoani Sánchez e la leader studentesca cilena Camila Vallejo in visita a Cuba, quando in realtà la seconda ha semplicemente ignorato la prima che sbavava per avere un incontro con lei per poter poi spenderne la rendita nei suoi blog tradotti in decine di lingue e diffusi, non si sa come e perché, in mezzo mondo. Ma a me ha incuriosito ed è piaciuto molto leggere della visita ufficiale della Presidente del Brasile Dilma Rousseff a Washington. E mi è piaciuta perché non glie le ha mandate a dire né all’ambiguo Obama né alla feroce Clinton ed ha criticato sia gli Stati Uniti che l’Unione Europea per aver provocato la crisi monetaria che sta inondando di denaro liquido il suo paese con un conseguente aumento della moneta nazionale che danneggia le esportazioni carioca.
Ma la critica più diretta l’audace Dilma l’ha rivolta niente di meno che alla politica estera statunitense e alla sua aggressività verso Cuba, l’Iran e la Siria. Senza peli sulla lingua, ha affermato che, dopo il Vertice delle Americhe di Cartagena, non si dovrebbe mai più convocare una riunione degli stati americani senza Cuba. Non ho visto fotografie, ma mi sarebbe piaciuto vedere l’espressione della signora Clinton, proprio quella che commentava la morte in diretta di Osama Bin Laden con una buffa espressione. La Rousseff ha anche dichiarato che non trova legittimo vietare all’Iran un suo programma nucleare a fini pacifici e che è contraria ad un intervento in Siria. Poi se ne è andata in giro per le grandi Università nordamericane che costituiscono la celebre Ivy League, dal MIT ad Harvard, e si è dedicata a cose serie: coordinare progetti comuni di cooperazione fra ricercatori di entrambi i paesi. Mentre scrivo non si sanno ancora i risultati del Vertice di Cartagena, ma non sembra possibile che Obama ceda sulla questione di Cuba, anzi ha affermato che gli Stati Uniti mantengono il loro impegno a favorire la “democrazia” a Cuba; non sembra nemmeno orientato a legalizzare l’uso delle droghe nel suo paese (che è il maggiore consumatore) come veniva chiesto dal Presidente del Guatemala. La bella festa organizzata dal Presidente della Colombia, Santos, sembrerebbe risolversi con molto fumo e niente arrosto. Ma tornando alla inesistente “contesa” fra Camila Vallejo e Yoani Sánchez, voglio tradurre qui il commento del cantautore cubano Silvio Rodríguez nel suo blogg (naturalmente molto meno letto, tradotto e citato di quello di Yoani), dopo aver incontrato la leader studentesca insieme alla segretaria della gioventù comunista cilena: Negli ultimi tempi si sono impossessate della stampa delle idee reazionarie per cui alcune cose assurde vengono mostrate come fossero logiche. Per esempio, ogni giorno c’è qualche cretino che si domanda perché a Cuba non si è verificata una “primavera araba”. E certi giornali, presuntamente rispettabili, riproducono questa stupidaggine come se fosse una cosa sensata. Le idee avallate da queste espressioni cominciano con l’assurdo di estrapolare Storie, geografie e culture. O dobbiamo spiegare perché Cuba non è un paese arabo? Queste assurdità vorrebbero legittimare i crimini degli Stati Uniti e della NATO contro la Libia e in più concedere il rango di rivoluzioni alle rivolte in Egitto. Ancora oggi muoiono centinaia di libici al giorno nella guerra tribale alimentata da potenze irresponsabili. E nelle prossime elezioni egiziane, il candidato più forte pare che sia il collaboratore più stretto di Mubarack. Secondo a logica di questo circo mediatico, sarebbe “normale” che dei giovani comunisti cileni, che combattono coraggiosamente nel loro paese contro il neoliberismo, venissero a Cuba a incontrare coloro che desiderano istaurare qui il neoliberismo. Per ciò alcuni libelli deliranti esprimono sconcerto rispetto alla coerenza politica di questi ragazzi e ragazze. Ma qual’è questa stampa poco encomiabile? La stampa neoliberale che difende la pesante ombra della dittatura militare che pesa ancora con leggi concrete e presuntamente inalterabili sullo Stato cileno. Queste alleanze editoriali, queste frustrazioni e rimproveri, questo stracciarsi le vesti, rivelano le essenze comuni fra i neoliberali cileni al potere e i neoliberali cubani che aspirano a consegnare la testa di Cuba ai loro padroni: la loro sottomissione senza condizioni all’impero e il loro debito con l’archetipo pinochetista. Puah! Peggio per loro.

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