Se qualcuno dovesse chiederci “Dimmi chi era Dimebag”, oggi non risponderemmo più, soltanto, “Uno dei più grandi chitarristi metal che abbiamo avuto la possibilità di ascoltare e la chitarra dei Pantera”.
Oggi diremmo “Un amico, un vecchio amico che ha letteralmente consumato le dita dietro il suo innato talento. Arrivato al successo planetario senza grilli per la testa. Restando uno del quartiere, un fan di grandi axeman. Un festaiolo e un uomo generoso.”
Abbiamo avuto modo di poter dire questo dopo la lettura del fenomenale DIMEBAG. La storia di Darrell Abbott chitarrista dei Pantera di Zac Crain (pubblicato per la monolitica e battagliera Tsunami Edizioni, di cui presto avremo altre sorprese in serbo sulle nostre pagine, che si immergono in quel “metallo” che tanto amiamo per la sua stoica autenticità).
Biografia davvero trasversale che non annoia con continui richiami e con un “narrato” accademico o volutamente altisonante – d’altronde come potrebbe farlo?- e che fa scivolare nelle sue pagine perdendosi tra le sfumature infinite di Darrell Abbott, del suo Texas, della sua famiglia e del suo eccentrico DIMETIME (un “momento” di follia che lo coglieva alla sprovvista e gli faceva fare cose inusuali- a dir poco- come raccogliere e rastrellare la spazzatura a notte fonda). Una chiacchierata approfondita tra l’autore e i fans, i lettori, chi lo ha conosciuto e ha condiviso storie on e back stage.
Sembra di essere nella pausa per le registrazioni di un album, in studio, con birra in mano e sigaretta accesa a parlare. A raccontare di King Dime.
Figlio di Jerry Abbott “compositore capace” che “realizzava dei pezzi country per la gente e suonava il piano”, registrò un brano TOGETHER AGAIN che entrò nella classifica del 1979 (e fu coverizzato da Mark Lanegan) e di Carolyn Darrell, Madre. Attenta, generosa, che voleva solo la felicità di Darrell e del fratello maggiore Vinnie, ebbe in dote dal primo la possibilità di assistere alle session di registrazione che teneva nel suo studio (i Pantego) e la tara genetica artistica, nonché l’input allo studio dello strumento (dove il genitore lo affiancò non poco); dalla seconda tutta la bontà che dimostrò a chiunque nella sua vita (tra le tante: durante un incontro con i fan, un ragazzino andò con il padre a farsi fare un autografo. Dime chiese se sapeva suonare e il piccolo disse che gli sarebbe piaciuto ma non poteva permettersi una chitarra. Firmò l’autografo e lasciò che la fila scorresse, non prima di aver detto a uno della sua crew di far aspettare la coppia. Quando li fece rientrare, a fine evento, diede una chitarra al ragazzo dicendogli : “E’ meglio per te se la prossima volta che vengo qui spacchi di brutto!”. Aspettò la fine per non imbarazzare il padre davanti alle altre persone).
La sua carriera artistica è stata strepitosa, il sogno di un qualsiasi musicista di oggi, soltanto che qui, a fare la differenza, c’era il funambolico chiodo fisso di Darrell per la chitarra. La voglia di tirare fuori da essa il massimo, l’impossibile, l’unicum. Un’aspirazione che non si è mai spenta, una sperimentazione mai interrotta. Quel suono Darrell, quel Suono riconoscibile, stile personale, che non possono contare in molti, perché mancano di un demone che li alimenti e li incendi. Dagli esordi in spandex con i Pantera prodotti dal padre, passando per il cambio di cantante (con l’entrata di Phil Anselmo), i primi album con major; dal seminale Cowboys from Hell fino a Reinventing the steel armato del suo amore per Van Halen e Kiss (e molti altri “insospettabili”), Dimebag ha rappresentato, con suo fratello e i Pantera, una costante solida e inamovibile del metal internazionale. È stato un ponte tra i giovani e il palco, tra gli ammiratori e il loro idolo (anche se lui continuava a denigrarsi, usando sempre un “noi” anche quando sarebbe stato giusto un “io”) che potevano salutarlo, parlargli, e confrontarsi, visto che lui aveva sempre tempo per tutti.
Accanto al fratello, martello percussivo come pochi, è stato il rappresentante di uno stile di vita r’n’r’, dove non mancavano gli alti bassi, dove il giorno si confondeva con la notte e l’alcool mandato giù come se niente fosse (“Buttare fuori riff e buttare giù shot era parte della persona che era”; “E la risposta a tutto era sempre: “Beviti un goccetto”. Hai presente, “Ho freddo”, “Beviti un goccetto”. “Ho caldo”, “beviti un goccetto”) poteva essere la benzina necessaria alla festa che albergava costantemente nella sua testa.
Domande, risposte, curiosità ma soprattutto il ritratto di un uomo e poi un artista, dall’animo grande.
In questo libro troverete tutto: da quel ragazzino riccioluto che quasi non riusciva a tenere la chitarra, ma che già sapeva domarla, fino all’artista che dopo lo scioglimento della sua band, ha ingoiato l’orgoglio come nessun altro avrebbe fatto e si è rimesso a fare il giro dei club con i DAMAGEPLAN.
Qui c’è tutto. C’è la sua morte. assassinato l’8 dicembre 2004. Un giorno nero come non mai, definito da David Draiman dei Disturbed come l’11 settembre del Rock.
C’è lo sconforto di non poter sapere cosa sarebbe riuscito a fare con la sua chitarra, tutta la musica che avrebbe tirato fuori (come dice anche Kerry King degli Slayer). Resta però la sua voce che echeggia in ogni riga e ogni testimonianza raccolta da Zac Crain. Restano i rasoi della sua sei corde che ancora tagliano e spezzettano e fanno uscire fuori di testa tanti musicisti.
Resta un Black Tooth Grin da tracannare tutto d’un fiato in suo onore. E una volta fatto, continuare a farlo.
Buona scelta
IBD
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DIMEBAG.
La storia di Darrell Abbott chitarrista dei Pantera
Tsunami Edizioni- pp.gg. 247- euro 20- 2010