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Alle ore 23 del 31 luglio 1942 la tradotta con un lungo fischio lasciò Borgo San Dalmazzo con il suo carico di giovani per una guerra già persa in partenza e pochi di quella tradotta rividero ancora Borgo San Dalmazzo, del gruppo di amici solo io ritornai avendo fatto tutta la ritirata......... gli dico siamo ritornati altre volte e ritorneremo anche questa volta, ma non fu così... (dal diario di Dionigi Galvagno)
Dionigi Galvagno era mio suocero. Era nato nel 1914 e come tutti i suoi coetanei si era dovuto sobbarcare anni e anni di guerra. L'esperienza più tragica, che lo aveva segnato indelebilmente, era stata la ritirata di Russia dalla quale, di tutti i suoi commilitoni e amici, lui solo era ritornato.
Dopo la nascita delle nostre figlie aveva deciso finalmente di scrivere i ricordi di questa terribile ritirata, ci stava pensando da tempo perché voleva, con tutte le forze, che questo pezzo di storia non venisse mai dimenticato. Il 14 settembre avrebbe compiuto cento anni, e noi abbiamo deciso di celebrarlo leggendo alcune pagine di questo suo diario.
Franco lo ha voluto ricordare così
Mio padre aveva la terza elementare, e il non aver potuto andare a scuola è stata per lui una ferita mai sanata, che assieme a quella della sua vita militare lo ha segnato per tutta la vita. Queste due esperienze sono sempre state presenti nei suoi discorsi e nei suoi ricordi, con lo stesso peso. Così mi spinse a studiare, volle che mi iscrivessi alla scuola media e poi al liceo. Non ho mai avuto il coraggio di abbracciarlo e dirgli quanto importante per me sia stata questa sua decisione, neppure negli ultimi anni della sua vita, perchè il carattere piemontese, o sabaudo come qualcuno ama definirlo, non è solo sobrio, ma talvolta anche così stupido da non permettere la sincera ed aperta dimostrazione degli affetti. Era nato il 14 settembre del 1914 a Sommariva Bosco. Mio nonno paterno faceva il fabbro, la sua attività principale era quella del maniscalco. Quando tornò dalla grande guerra riaprì la bottega, ma i tempi erano cambiati, non poteva permettersi un lavorante e, finita la terza elementare, decise di non mandare più a scuola suo figlio e di farlo lavorare con sé. Terminata la parentesi da apprendista fabbro, di tornare a scuola non si parlò più e, dopo un periodo da apprendista muratore, dopo il servizio militare mio padre si trasferì a Torino, iniziando quello che sarebbe stato il lavoro della sua vita, il panettiere. Aveva fatto il servizio di leva nel corpo degli Alpini, come da tradizione dei nostri luoghi.
Nel 1936 fu mandato a Genova, in attesa dell'ordine di partenza per l'Africa; sono rimaste fotografie in cui è assieme ai commilitoni in riva al mare. L'ordine della partenza per l'Africa per mio padre non arrivò mai. In compenso partecipò alla campagna in Albania e Grecia, le cui reni avrebbe dovuto contribuire a spezzare.
Tornò sano e salvo per un caso del destino. La nave che lo riconduceva in Italia faceva parte di un convoglio di tre unità: la prima e la terza furono silurate, quella di mezzo, su cui si trovava, compì indenne la traversata fino a Bari. Fu nuovamente richiamato e nel luglio del 1942 partì con la Divisione Cuneense per la campagna di Russia.
Faceva parte delle salmerie (o della "sussistenza", come l'ha sempre chiamata), comandato a preparare il pane per le truppe. Non direttamente in prima linea. Ho sentito più di una volta qualche solone sentenziare che questi non erano soldati e quindi non era poi così strano che si fossero salvati. Affermazioni del genere si commentano da sé. non partirono certo con entusiasmo, né lui né gli altri, capendo benissimo a quale disfatta sarebbero andati incontro, male equipaggiati, in zone non adatte al tipo di azione militare che un corpo di artiglieria alpina sapeva condurre, messi sull'avviso da chi era partito per il fronte russo già nel '41 ed era ritornato. Ma partirono: per dovere, per obbligo e per quella rassegnazione che ha sempre contraddistinto le classi subalterne. Ancora una volta la sorte gli fu benigna perchè, al termine della battaglia di Nikolajevka del 26 gennaio 1943, senza immaginarlo, si trovò a seguire quelli che sarebbero tornati, e durante la strada dovette veder gli amici di una vita morire in mezzo alla neve. Non ha mai voluto partecipare a raduni o sfilate, perchè le vicissitudini della campagna di Russia e il ricordo dei compagni perduti per sempre gli impedivano di accettare l'aspetto retorico di queste manifestazioni, ma non ha mai dimenticato gli amici e a sfilata finita andava ad abbracciarli. È morto per un infarto nell'ottobre del 1981, la sera di un bellissimo sabato trascorso a casa nostra, cercando funghi nel boschetto vicino - una delle sue grandi passioni assieme alla (proibitissima) pesca con le mani nei fiumi - e giocando con le nipoti. Scrivere non gli veniva né naturale né facile, quindi il fatto stesso che abbia messo i suoi ricosdi su carta, con la scrittura fitta ma ordinata, prudente e scrupolosa delle generazioni in cui la “bella calligrafia” era materia scolastica, la dice lunga sulla forza di quei ricordi e sull'urgenza di raccontare. Sono pagine che descrivono in modo molto diretto gli eventi, contengono errori di ortografia, di grammatica, di sintassi, perchè sono scritte da una persona che non ha potuto andare oltre la terza elementare, ma proprio a questo devono la loro forza. Ho letto per la prima volta quelle pagine quando era ancora in vita. Allora ritenevo che si dovessero correggere prima di farle leggere ad altri. Negli anni successivi ho capito che quelle pagine devono essere lasciate come sono, se si vuole che siano vive e che parlino a chi le vuole ascoltare. Quando abbiamo pensato come ricordarlo a cent'anni dalla nascita, siamo stati concordi nel ritenere che non ci sarebbe stata cosa migliore da fare, se non quella di far semplicemente conoscere qualche pagina di questa sua personale testimonianza. Qualcuno mi ha chiesto se mio padre gradirebbe questo modo di festeggiarlo, fosse in vita. Rispondo di si, senza alcuna esitazione. So che le ha scritte soprattutto perchè il ricordo rimanesse vivo nella nostra famiglia, ma sono certo che, in cuor suo, avrebbe voluto farle conoscere ai miei amici, con i quali gli era difficile parlare perchè non era "istruito".
Il 14 settembre abbiamo festeggiato i 100 anni di Dionigi insieme a tantissimi amici, ma tanti tanti davvero
e ci siamo emozionati come mai avremmo pensato. Un grazie di cuore a Carlo Roncaglia, Vince Novelli, Enrico De Lotto, Giò Dimasi, e naturalmente ad Elisa
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