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Dire, fare, maledire

Creato il 22 novembre 2011 da Sulromanzo

Dire, fare, maledireHo preso del tempo, una pausa da come va il mondo, per poterlo guardare con calma, quando non se ne accorge nessuno, con le intenzioni sospese. Polvere sui libri, tv accesa, niente quotidiani, scambio di ricette autunnali su facebook.

È stato necessario ma di questo poco importa, perfino a me. Importa forse qualcosa in più l'effetto che produce l'astensione dopo anni di passionale partecipazione. Gli esiti sono quasi mistici, poco razionali, convenienti a nulla.

Riprendo a scrutare l'ambiente in cui lavoro con i soliti vecchi strumenti, di quelli che si ostinano ancora a non andare di fretta, a non stare al passo con niente.

Sarò mica una TQ? Chissà.

I miei strumenti sono quanto mi basta.

Accantono le interpretazioni psico-letterarie, mi concedo una pausa da cose e parole e prendo la strada delle intuizioni.

Il giorno in cui ho deciso di astenermi per un po' da recensioni, collaborazioni e svagate opinioni stavo scrivendo un articolo su Generazione TQ (da pochi giorni era stato reso pubblico il manifesto) che in sostanza diceva: stiamo a vedere prima di parlare a vanvera tanto perché ne dobbiamo parlare. Un pensiero mite, annoiato, ma con un fondamento sincero. Giravo e rigiravo il mio pensiero sul foglio e tacevo la mia premonizione. Insomma dicevo niente al posto di ciò che pensavo. Le premonizioni vanno lasciate in pace, è necessario occuparsene con delicatezza. Ma non c'è tempo, per questo spesso si parla a vanvera. È stato in questo preciso momento che ho deciso di staccare.

Presagivo che il movimento TQ avrebbe fatto un gran clamore ma avrebbe poi perso in poco tempo l'attenzione eccitata (e talvolta esagitata) che l'ambiente culturale gli aveva dedicato. L'ho pensato perché negli scritti di Generazione TQ sentivo più forte la componente razionale di quella passionale. E poi perché molti dei fondatori e partecipanti si giustificavano troppo. Due aspetti marginali, cose da poco, che mi hanno colpito e mi hanno fatto riflettere. Non me la spiegavo tutta la loro pazienza nel rispondere alle valanghe di idiozie che sono state spesso usate al posto di un'analisi competente e circoscritta. Incluso, in risposta, un: "togliete 'sta merda", scritto sulla mia bacheca su cui avevo postato, con intenti critici forse non sufficientemente sottolineati, del resto la bacheca - giuro - era la mia, un post dei finti TQ.

Se fossi stata una del giro magari avrebbero scritto: "sei vittima di un abbaglio", chissà.

L'aggressività, come è noto, esplode nei commenti e nei match di opinioni in modo estremo e misterioso. Da uno di questi scambi (non TQ) tra scrittori, giornalisti e artigiani letterari - lo cito come simbolo sciatto - ne sono uscita trasformata in una ignorante qualunquista, una con insane passioni narrative. Gli insulti hanno trasformato molto peggio Aldo Nove, accusato di avere uno pseudonimo che corrisponde all'età del suo sviluppo emotivo e di essere lessato come un manzo a taglio grosso. Così, per dire, in una giornata noiosa e di pessimo umore, credo.

Il male di dire, la moda di maledire: ci si deve muovere con cautela, pena offese e estenuanti scambi di mail, commenti, dispute, non appena ti avvicini alla cerchia degli intellettuali che non si toccano. Non è più possibile esprimere un'idea se non ci si prepara armati di sarcasmo alla tre giorni di ingiurie.

Per essere mafia è mafia.

Contando solo la gente che conta i più si trovano nella condizione di attirare l'attenzione su di sé con ogni mezzo: sbraitano, ammiccano, si inseriscono, lanciano opinioni. Un po' come le veline al Billionaire.

Se non hai un seguito e cioè se non sei in grado di prestare favori, meglio fingere di avere poco da dire?

Per essere mafia è proprio mafia.

Ci sono poi giornalisti, scrittori e illuminati che decidono di sfracellarsi in solitaria, lanciandosi a massima velocità su chiunque. Sono quelli che, per partito preso, scrivono merda su tutti. Lo fanno esasperati dal desiderio di avere un seguito, pescano nel mucchio sicuri che prima o poi qualcuno li accoglierà.

Ma generazione TQ dov'è? Fino a quando gli interlocutori saranno gli enti, le entità, le intenzioni non ci sarà nessuna riforma e nessuna rivoluzione, tutt'al più ne sortirà invece un inutile niente logicamente impeccabile. Le loro accurate analisi sono talvolta di molto simili a delle resistenze psichiche.

La condizione difficile in cui versa la letteratura italiana contemporanea è in gran parte dovuta agli intrecci ambigui e alle amicizie tiepide e interessate che rendono penoso l'ambiente culturale (non tutti, non tutto, non sempre). Le relazioni ambigue, compromettenti, sono un groviglio da sciogliere se si ha a cuore la qualità letteraria. La rivoluzione deve partire da qui, dal punto in assoluto più debole. Di porcherie se ne pubblicheranno sempre, di quelle, per intenderci, che portano soldi. Accanirsi contro i libri spazzatura mi sembra una perdita di tempo, ce ne saranno sempre. Ma sotto l'etichetta di opere di qualità si pubblicano scritti immondi. Le cause vanno scovate nelle relazioni, il mercato non c'entra, questi testi (così mi sento di chiamarli) non vendono che qualche copia.

La presenza di orrenda narrativa di qualità nelle librerie è un mistero. Si è tutti rassegnati al cospetto di tanta narrativa maldestra, e via ore di workshop di idee e di assembleee di discussioni su biblioteche, Renzi e teatri occupati. Tutto importante, sì. Ma poi in libreria si espongono romanzi pietosi. E poi l'editor junior spesso (spesso) è in qualche modo amico dell'editor senior, o del romanziere che, all'interno della casa editrice, vende di più. E poi l'amico di uno scrittore prima o poi pubblica un libro. E poi lo pubblica anche la sua fidanzata. E poi l'amico della fidanzata.

Da dove intendono partire i TQ per favorire il riequilibrio nella produzione dei libri? TQ - dice il manifesto - invita inoltre a compiere un'opera di divulgazione dei meccanismi - e delle anomalie - che governano la filiera editoriale.

Come?

Il proposito è questo: TQ si impegna ad alimentare l'attenzione pubblica sulla questione della qualità letteraria, che è indipendente dal successo commerciale di un libro, e a fare ragionate battaglie contro le più deleterie derive mercatistiche dell'editoria italiana, come lo spostamento delle risorse delle case editrici dalla fase di produzione a quella di promozione dei libri. Proprio in quest'ottica TQ intende costruire un circuito virtuoso per i libri di qualità che inizi anche prima della loro pubblicazione e che predisponga, attraverso i migliori critici letterari, librai e lettori, un'accoglienza attenta e qualificata in grado di aumentare la longevità, la risonanza e la redditività di quei libri. TQ chiede anche agli autori di abbracciare e promuovere pratiche di qualità nel lavoro creativo e pratiche etiche in quello critico.

E poi: Specularmente, TQ si ripropone di denunciare in sede pubblica tutte le pratiche che contrastino con principi di etica e di qualità [...] (Qui il testo completo http://www.generazionetq.org/i-documenti-di-tq/tq-editoria/)

Un impegno notevole, io comincerei.

Ecco cosa accadeva mentre cercavo di capire come si fossero trasformati i consensi TQ; ho avuto l'impressione che fossero bassi. Anche se oggi, domenica 30 ottobre, sempre per stare nella luce delle intuizioni, sembra esserci un'interessante virata.

Non è più tempo di parlare, di astrazioni scoppia il mondo.

La nascita del movimento TQ mi ha emozionato, così come mi accade per tutte le rivoluzioni. Anche se sono stata spesso apostrofata che di rivoluzione non si tratta, semmai di un'iniziativa riformista. A me poco importa, per me la spinta è rivoluzionaria, i contenuti non lo sono a causa dell'impossibilità di ogni contenuto, nel 2011, di essere sconosciuto, nuovo, mai pensato.

La rivoluzione, nel 2011, è fare ciò di cui si parla.

Ogni tempo ha le proprie lacune, il nostro soffre di impedimenti all'azione.

Ho deciso quindi, visto che la condivisione ancora vacilla, che è bene ripartire un po' come mi pare. A tale proposito riporto un pensiero di Simona Vinci:

che quasi tutti si costruiscono un personaggio-armatura, e passano la vita a vestirsi e vestirsi e vestirsi quando bisognerebbe imparare a spogliarsi, e ogni giorno che passa essere più nudi e più leggeri, inconsistenti e quasi invisibili. Le uniche cose che si capiscono, si capiscono quando non si è niente, e si può guardare, invece che essere guardati."

Il male di cui soffre la letteratura, e le case editrici che se ne occupano, e le riviste letterarie e i giornali che ne parlano, e le recensioni che la vendono, e gli intellettuali che la leggono, la criticano, la promuovono sta nell'impossibilità di fare ciò che si dice. L'intruglio ha come ingrediente principale (e velenoso) la relazione.

Non c'è miglior conforto, per uno scrittore maldestro, della compiacenza ostinata di chi lo appoggia.

Non c'è peggior male, per la letteratura, dell'amore incondizionato degli amici che contano dell'autore.

Generazione TQ sa bene che la trappola sta tra dire e fare (lo scarto, sempre, tra parole e cose). Ma forse è una soluzione poco intellettuale, certo io la adotterò, perché le uniche cose che si capiscono, si capiscono quando non si è niente.


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