Che tipo di religione sarebbe una religione in nome della quale si uccide l’ambasciatore americano perché in America è stato pubblicato un film giudicato blasfemo? Che genere di credo sarebbe un credo che manda in piazza migliaia di persone pronte a mettere a ferro e fuoco una città per lo stesso motivo? Che tipo di fede sarebbe una fede il cui obiettivo è quello di annientare le altre religioni e le altre culture anche con l’uso della forza?
Io sono convinto che questo non sia l’Islam. Ma è così che viene interpretato, magari da minoranze, ma da minoranze prevaricanti e pericolose. L’Islam, al contrario di altre professioni di fede come quella cattolica, non ha un capo spirituale e, quindi, non ha una dottrina universalmente condivisa. Per questo è difficile per i fedeli interpretare quelli che sono i precetti su cui basare il proprio credo ed è per questo che nascono così tanti gruppi integralisti che fanno della religione veicolo di attacco verso altri credi e altre civiltà.
Da ciò, pur essendo fermamente convinto del fatto che la maggioranza dei musulmani sia costituita da persone pacifiche e oneste, sono altrettanto convinto – e sono suffragato dai fatti – che anche una piccola minoranza possa essere estremamente pericolosa. Per questo non si può trattare l’Islam come una qualsiasi religione ma occorre essere estremamente vigili su come essa viene praticata nel nostro Paese.
Se è un diritto inalienabile professare la propria fede è anche un diritto tutelare la propria incolumità. È necessario quindi che si ponga particolare attenzione su come viene praticata la fede musulmana in Italia, su quello che avviene nei luoghi di culto e di cultura relativa a questa fede perché in essi vi è potenzialmente il pericolo del proselitismo del fanatismo religioso, dell’organizzazione di attività eversive, di copertura delle stesse.
Un Paese civile come l’Italia è o dovrebbe essere non può applicare politiche contro l’immigrazione come, ad esempio, i respingimenti in mare proposti con tanta enfasi dal passato governo. Non lo può fare per motivi etici e non lo deve fare per motivi pratici in quanto l’immigrazione, fatti i dovuti distinguo, è indispensabile per il sistema produttivo. È anche chiaro che, nel mondo globale in cui viviamo, non si può pensare di ragionare in termini conservativi nazionali perché l’evoluzione della nostra civiltà porta inevitabilmente alla mescolanza delle razze e delle culture. Tutto ciò, però, non vuol dire che bisogna abdicare nei confronti dello straniero che, seppure è titolare del diritto al rispetto dell’uomo, è anche soggetto al dovere di rispettare il Paese che lo ospita, le sue regole, le sue tradizioni.
L’immigrato deve essere integrato e il Paese che lo ospita deve applicare tutti i mezzi possibili per agevolarne l’inserimento. Nello stesso tempo però è l’immigrato stesso che deve compiere uno sforzo per adeguarsi al Paese che lo ospita e non viceversa. Nel caso degli islamici il Paese ospitante deve, oltretutto, essere particolarmente attento sulla moralità e sulla condotta dell’immigrato viste le potenzialità che tale cultura esprime a livello internazionale, fermo restando il rispetto per la persona e per i suoi diritti.
Luca Craia