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Diritti in Ordine

Creato il 26 gennaio 2015 da Annagiuffrida @lentecronista

Ho pagato. Oggi, con instancabile puntualità, ho consegnato 108 euro – cento otto euro – al Mio Ordine dei Giornalisti del Lazio. La quota associativa, richiesta annualmente, per non esercitare da abusivi la professione di giornalisti. Ho pagato, e da oggi sono nuovamente giornalista o almeno posso di nuovo dire di esserlo.

Lo sono anche da precaria o disoccupata. Lo sono anche dopo che un giornale che riceve fondi pubblici per l’editoria, come “La Discussione – Quotidiano fondato da Alcide De Gasperi” (chissà cosa ne penserebbe De Gasperi del suo giornale, oggi), mette alla porta i collaboratori esterni per “scelte economiche superiori”. Lo sono anche quando chiedendo sostegno e solidarietà al Mio Ordine ricevo significativi silenzi. O quando mi sento dire che i liberi(!) professionisti della categoria non hanno diritto all’assegno di disoccupazione. E lo sono anche quando mi concedo il lusso di pensare che per il Mio Ordine sono, al momento, una collega da sostenere. Come è successo oggi.

E allora perplessa ma speranzosa per necessità, telefono agli uffici del Mio Ordine e al secondo tentativo (fallito il primo, nonostante la voce registrata suggerisse quasi ironicamente di “restare in attesa per non perdere la priorità acquisita”) finalmente riesco a sciogliere ogni dubbio.

Io: “Buongiorno, vorrei avere un’informazione. Per un giornalista disoccupato sono previste riduzioni sulla quota annuale dell’iscrizione?”

OdG Lazio: “No. Solo per i pensionati.”

Solo per i pensionati, solo per i pensionati… I Pensionati, giornalisti.

Ma sì, è giusto che abbiano diritto ad una riduzione, uno sconto. I pensionati sono una categoria debole, per antonomasia, direte. Eppure tanti giornalisti pensionati, rimasti spesso liberi professionisti, continuano a lavorare nelle redazioni di tanti giornali e vengono pagati per impreziosire con la loro firma quel giornale. In sostanza degli sponsor che attirano lettori, il più delle volte. In ogni caso, ex lavoratori che occupano spazi e risorse che potrebbero essere messi a disposizione di colleghi in età lavorativa. Ebbene, sono loro l’anello debole di una categoria che conta i più alti livelli di precariato e che dà il suo forte e silenzioso contributo ad ingrandire le sacche di disoccupazione. Pur non volendo fare una, solo apparente, guerra tra deboli, il confronto è spiazzante. C’è chi paga per restare aggrappato ad un progetto, che alcuni romanticamente chiamerebbero un “sogno”, e per poterlo fare vedendosi riconosciuti, a volte, solo la dignità di quel titolo. C’è chi paga per avere il diritto di continuare a scrivere, con una pensione alle spalle, e farlo sentendosi chiamare “Giornalista”. E’ l’Ordine delle cose.

Io ho pagato. Almeno finora.



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