Diritti umani negati nel Mediterraneo: dal caso “Hirsi” ai rimpatri sommari di migranti

Creato il 18 febbraio 2013 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Salvatore Denaro

In un suo recente articolo, il costituzionalista Stefano Rodotà ha mostrato come il tempo in cui viviamo si caratterizzi per l’espansione del cosiddetto “deserto dei diritti”, favorito innanzitutto da una politica “ad una dimensione”, quella economica. Secondo Rodotà, in assenza di una politica “costituzionale” capace di difendere i diritti, la loro tutela sembra essere una prerogativa esclusiva delle corti nazionali ed internazionali. È quanto accaduto di recente nel Mediterraneo, spesso trasformato proprio in quel “deserto dei diritti” di cui parla Rodotà [1].

Nel febbraio 2012 la Corte europea dei diritti umani ha stabilito che l’Italia ha violato il divieto alle espulsioni collettive, evidenziando la pratica, troppo spesso utilizzata dalle autorità italiane, dei respingimenti indiscriminati. In particolare nel caso “Hirsi e altri c/Italia”, è stato violato l’articolo 3 della Convenzione sui Diritti Umani, quello relativo ai trattamenti degradanti e alla tortura. Per quanto riguarda la parte strettamente risarcitoria, l’Italia è stata condannata a versare 15.000 euro più le spese alle 22 vittime (due ricorsi sono stati dichiarati inammissibili). In estrema sintesi, nel maggio del 2009 le autorità italiane hanno intercettato al largo di Lampedusa un barcone proveniente dalla Libia con 200 migranti, perlopiù di nazionalità somala ed eritrea, tra cui donne in stato di gravidanza e bambini. Secondo quanto accertato dalla Corte, i migranti sono stati trasportati su alcune imbarcazioni italiane ed accompagnati a Tripoli senza che nessuno di loro fosse stato ascoltato ed identificato, senza alcuna informazione riguardo la loro destinazione. Di fatto, quindi, i migranti non hanno potuto avvalersi del sistema di protezione internazionale. Delle 200 persone rispedite in Libia solamente 24 sono state rintracciate e seguite dal CIR (Consiglio Italiano Rifugiati) nel ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

A distanza di un anno, non una corte internazionale, bensì una denuncia di Human Rights Watch, accusa ancora una volta il nostro Paese di respingimenti sommari nei confronti di richiedenti asilo e di minori non accompagnati provenienti dalla Grecia. Nel Rapporto di HRW, pubblicato il 14 gennaio scorso e intitolato “Restituiti al mittente”, si denuncia l’inadeguatezza del sistema di asilo e gli abusi da parte delle forze di polizia greche; mentre per quanto riguarda l’Italia, oltre alle riconsegne di minori e richiedenti asilo, si contesta anche il livello di tutela nei porti dell’Adriatico nonché l’approccio “italiano” alle migrazioni.

Il Mediterraneo diventa sempre di più la porta principale dell’Europa per i migranti economici e per i richiedenti asilo provenienti per la maggior parte dei casi da Afghanistan, Siria, Somalia, Tunisia, Bangladesh e Iraq. Secondo le norme di diritto internazionale, i Paesi di destinazione come Italia e Grecia hanno l’obbligo di effettuare uno screening adeguato della situazione del migrante in modo tale da attivare le procedure di protezione internazionale, nei casi dove un respingimento potrebbe condurre a violazioni dei diritti umani in applicazione del principio di non-refoulement [2]. Inoltre, il Regolamento (CE) n. 343/2003 (c.d. Dublino II) ha come obiettivo quello di evitare che i richiedenti asilo siano inviati da un Paese all’altro, ma anche quello di prevenire l’abuso del sistema con la presentazione di domande di asilo multiple da parte di una sola persona. Per quanto riguarda i minori non accompagnati, la Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo afferma che in tutte le decisioni riguardanti i minori deve esser tenuto conto del superiore interesse del minore stesso. In ogni caso, in Italia il Comitato per i minori stranieri ne può disporre il rimpatrio in via assistita e giustificata proprio dal principio di “interesse superiore del minore”, qualora la permanenza nello Stato italiano rappresenti gravi rischi per quest’ultimo.

Purtroppo quello che emerge dal Rapporto di Human Rights Watch è una realtà che, ancora una volta, si discosta dalle disposizioni e dalle norme di diritto internazionale.

L’inferno greco per i migranti

Il sistema di asilo predisposto dalla Grecia ha dato più volte dimostrazione di essere inefficace ed inadeguato all’obiettivo che si propone. Il processo di riconoscimento dello status di rifugiato è il più lento d’Europa e sono decine di migliaia le istanze arretrate ancora da verificare. Per questo motivo siamo di fronte ad un sistema che con l’1% di rilasci nel 2011 rappresenta il fanalino di coda dell’Europa per il riconoscimento in prima istanza dello status di rifugiato. Addirittura secondo i dati di una ricerca condotta da alcune ONG greche, la polizia di Atene accetta solamente 20 richieste a settimana, basando la scelta su criteri non chiari.

Altra questione sollevata dal Rapporto di HRW riguarda le condizioni di detenzione dei migranti e dei richiedenti asilo. Centri di detenzione inadeguati, scarse condizioni igieniche, assenza di cure mediche sono solo alcune delle denunce che anche altre importanti ONG come Medici Senza Frontiere hanno fatto nel corso degli ultimi anni. “Impossibile dormire. Eravamo seduti sulle nostre gambe … Ogni sera ci portavano cibo cattivo. Ogni mattina e ogni sera portavano altre due o tre persone” – queste le parole di un ragazzo di 22 anni afghano rispedito in Grecia dal porto di Bari, Qadir J., detenuto per dieci giorni a Igoumenitsa in una cella sovraffollata. Molte delle interviste riportate dal Rapporto evidenziano anche abusi da parte della polizia greca, spesso nei confronti di migranti di ritorno dall’Italia. Alcuni di loro raccontano di essere stati picchiati e presi a calci prima di essere spostati nelle celle, altri di aver subito gravi violenze durante le retate avvenute nel porto di Patrasso e nelle strade vicine. Addirittura per cercare i migranti nascosti nel porto, la polizia greca ha sguinzagliato cani ferendo gravemente al braccio Assad, un ragazzo afghano che si era nascosto in un camion in partenza per l’Italia.

Le riconsegne sommarie dall’Italia alla Grecia

Quando si affronta il tema delle riconsegne al Paese di provenienza dei migranti entrati irregolarmente nel territorio italiano considerando l’aspetto statistico e numerico, spesso si rischia di non dare una lettura esaustiva del fenomeno. Tuttavia, in questo caso è interessante fornire qualche dato: secondo le autorità greche, nel 2011 e nei primi sei mesi del 2012, Atene avrebbe riammesso 875 migranti su un totale di 1.697 richieste dall’Italia. Il governo Italiano, invece, ha fatto sapere ad HRW che tra il 2011 e i primi 10 mesi del 2012 sono state riammesse in Grecia 3.566 persone. Numeri contraddittori che confermano come nella gestione delle migrazioni non ci sia un’effettiva cooperazione e collaborazione tra Stati membri dell’Unione Europea.

Il governo italiano ha più volte ribadito che le procedure portuali rispettano sia i diritti umani che il sistema di identificazione necessario per accordare la protezione internazionale. Nelle città di Bari, Brindisi, Ancona e Venezia sono presenti ONG proprio col compito di avere un accesso diretto ai migranti in arrivo e fornire loro l’assistenza necessaria. Tuttavia, dall’indagine di HRW emerge, ad esempio, che a Bari l’attività di Rete Iside, l’ONG presente nel porto, sia molto limitata dalle condizioni imposte dalle autorità portuali. Tali condizioni non consentono ai migranti di usufruire delle informazioni, degli interpreti, della rete di sostegno e dei servizi specializzati per le richieste di asilo. A testimonianza di quanto appena affermato, lo scorso ottobre nel porto del capoluogo pugliese la polizia di frontiera ha scoperto 81 migranti nascosti all’interno di un camion in un traghetto proveniente dalla città greca di Igoumenitsa. Secondo le informazioni fornite da Rete Iside, solo a 12 persone, di cui 6 minori non accompagnati, è stato consentito di rimanere in Italia, mentre gli altri sono stati ricondotti in Grecia. A Rete Iside è stato permesso di prestare assistenza ai minori, ma la stessa non è stata autorizzata ad avere un contatto con i migranti pronti a ritornare in Grecia e chiusi nella cella del traghetto. Solo 7 di altri 29 migranti rispediti in Grecia dalle autorità italiane ed intervistati da HRW [3] hanno ricevuto assistenza e sono stati ascoltati tramite l’ausilio di un interprete. Ma a nessuno dei migranti che ha dichiarato di essere minorenne è stato assegnato un tutor e un’assistenza legale per attivare l’eventuale procedura di protezione internazionale prevista per i minori.

Un’altra incongruenza riscontrata da HRW riguarda il ruolo del CIR nei porti italiani. Costituitosi nel 1990 come ONLUS sotto il patrocinio dell’UNHCR, tra i suoi obiettivi c’è quello di fornire assistenza legale e sociale per i richiedenti asilo e per i titolari di protezione internazionale, nonché di operare direttamente alle frontiere per garantire l’accesso alla protezione dei rifugiati. Tuttavia, da un’intervista rivolta ad un avvocato che lavora presso questa organizzazione emerge che la polizia non chiama il CIR ogni volta che scopre migranti irregolari, nonostante sia titolare dell’appalto governativo per la fornitura di servizi ai migranti nel porto di Brindisi. Il CIR durante il 2012 ha assistito solamente tra le 30 e le 40 persone e ogni qualvolta è venuto a conoscenza di riconsegne alle autorità greche da parte della polizia, dalle informazioni ufficiali non è risultata nessuna richiesta d’asilo.

Anche la gestione dei minori non accompagnati che giungono nei porti dell’Adriatico ha evidenziato qualche lacuna proprio all’interno del sistema di protezione a loro dedicato. Su questo campo le normative internazionali, le Convenzioni, nonché le norme di diritto interno appaiono estremamente chiare. Nonostante ciò, nei primi sei mesi del 2012 HRW ha effettuato dieci interviste a ragazzi dai 13 ai 17 anni che hanno dichiarato di essere stati rispediti in Grecia dall’Italia. Sempre nel corso della stessa indagine, un migrante adulto ha dichiarato di essere stato riaccompagnato in Grecia insieme ad altri tre minori di cui non era né parente, né tutore. Addirittura un funzionario dell’UNHCR in Grecia (che ha chiesto ad HRW di restare nell’anonimato) ha stimato che dall’Italia ogni mese arrivano a Patrasso due minori non accompagnati. A tutto ciò si sommano casi di minori trattati come criminali consegnati dalle autorità italiane a diverse società di traghetti per ritornare in Grecia.

Lo spaccato dirompente di una realtà che contraddistingue i porti dell’Adriatico messi in luce dal rapporto “Restituiti al mittente” di Human Rights Watch, mette a nudo oltre che le debolezze degli Stati in questione di fronte alla gestione dei richiedenti asilo, anche una persistente e cronica assenza dell’UE come soggetto sovranazionale capace di far rispettare i diritti umani attraverso quell’azione sinergica degli Stati membri e delle istituzioni europee auspicata da molte ONG. Secondo il Presidente dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, Jean-Claude Mignon, “tutto il continente europeo ha la responsabilità di assicurare che la situazione nel Mediterraneo, già difficile, non si trasformi in una catastrofe umanitaria”, aggiungendo che è arrivato il momento di una politica migratoria comune. Ma “comunitarizzare” e quindi togliere dalla competenza esclusiva degli Stati le politiche migratorie potrebbe essere una soluzione di difficile attuazione e non praticabile in questa fase dell’Unione Europea. Tuttavia, HRW raccomanda all’Europa, attraverso l’azione della Direzione Generale Giustizia della Commissione europea, di valutare gli obblighi di Italia e Grecia in tema di diritti umani e l’effettivo rispetto del Regolamento Dublino II.

Infine, il prossimo giugno il Relatore Speciale per i Diritti Umani dei Migranti delle Nazioni Unite, François Crépeau, pubblicherà un rapporto proprio su ciò che accade nelle frontiere dell’Unione Europea. C’è da aspettarsi che, ancora volta, l’ONU chieda ulteriori spiegazioni a Italia e Grecia per la pratica dei rimpatri sommari e la gestione dei minori non accompagnati.

* Salvatore Denaro è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)

[1] Stefano Rodotà, Il grande deserto dei diritti, La Repubblica, 3.01.2013

[2] La Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, all’art. 33, sancisce il principio di non-refoulement prevedendo che “Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”.

[3] L’intera indagine si basa su delle interviste fatte a 29 fra migranti e richiedenti asilo che sono stati rispediti in Grecia da parte delle autorità italiane.


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