THE LONG RUN [1979]
EAGLES
Mai stato un grande fan degli Eagles. Quando iniziai a capire qualcosa di musica nei negozi c'era Hotel California (1976), ma per vari motivi mi concentrai su altri artisti. Nulla di programmato o voluto, diciamo che la band di Don Henley e Glenn Frey non mi capitò, e di conseguenza non accompagnò la mia adolescenza. In seguito continuai ad ascoltare i loro long playing distrattamente, senza approfondire il discorso e passarono molti anni prima che mi decidessi ad acquistare qualcosa di uno dei gruppi più noti del pianeta. Quel qualcosa fu The Long Run (1979), trovato su una bancarella di Porta Portese e successivamente pescato dal mio scaffale dei CD quando avevo voglia di perdermi nella dimensione romantica di I Can't Tell You Why. Tutto questo fino a quando, intorno alla metà degli anni duemila, l'album non catturò la mia attenzione in modo del tutto inaspettato e presi ad ascoltarlo tutti i giorni, per diversi mesi di fila. The Long Run, frutto di un triennio caratterizzato da malumori, tensioni e perfezionismo esasperato, suona meccanico e decisamente stanco, ma probabilmente furono proprio i suoi fondamentali difetti a conquistarmi. Mi capita spesso con le opere discografiche maltrattate da critica e appassionati della prima ora. Il lento e ipnotico incedere di King Of Hollywood, caratterizzato da suggestivi incroci chitarristici, ma anche da una monotonia di fondo sorprendente, è ancora uno dei pezzi rock che mi piacciono di più.
GHOST IN THE MACHINE [1981]
THE POLICE
Ascoltai Outlandos d'Amour (1978), Reggatta de Blanc (1979) e Zenyatta Mondatta (1980) che ero ragazzino. In realtà li comprò mia sorella, ma i Police mi piacevano molto e quei dischi li consideravo anche miei. Ad ogni modo, per quanto potessi conoscere e apprezzare il gruppo, Ghost in the Machine (1981) mi colse di sorpresa. Quando feci girare il vinile per la prima volta, compresi che la musica dei Police stava cambiando, muovendosi però in una direzione che non mi convinceva del tutto. Rimasi prevedibilmente incantato dalla bellezza di brani come Spirits In The Material World, Every Little Thing She Does Is Magic e Invisible Sun, caratterizzati da arrangiamenti più complessi ed elaborati rispetto al passato, ma non riuscii ad entrare in sintonia con diverse altre canzoni dell'album, che mi parvero simili a martellate sonore lontanissime dai miei gusti musicali. Per qualche tempo mi concentrai esclusivamente sui pezzi appena citati, facendo a meno del resto, ma proprio quando iniziavo a pensare di avere a che fare con il peggior album dei Police, rivalutai alcuni brani frettolosamente accantonati e il mio giudizio su Ghost in the Machine mutò radicalmente. Ancora oggi lo considero uno di quei dischi che invecchiano bene e ogni tanto mi capita di riascoltarlo.
LIVE IN THE CITY OF LIGHT [1987]
SIMPLE MINDS
Pubblicato nel 1985, Once Upon A Time riuscì nell'impresa di sdoganarmi la musica del decennio in corso, che salvo pochissime eccezioni continuavo ad evitare con cura, partendo dal presupposto, non necessariamente veritiero, che fosse scadente. In effetti, a dispetto della mia giovane età, i miei punti di riferimento continuavano ad essere i grandi nomi del passato, anche se ormai cominciavano a segnare il passo dal punto di vista creativo. Col senno di poi riconosco che Once Upon A Time non era all'altezza di New Gold Dream (81, 82, 83, 84) (1982), ma all'epoca mi affascinò la freschezza del suono rapportata alle cose che ascoltavo quotidianamente. Ricordo che passai mesi interi ad assimilarlo e successivamente a scoprire, grazie ad esso, i primi lavori del gruppo e di tanti altri artisti di spicco degli anni '80. Quando seppi dell'uscita di Live In The City Of Light (1987) mi affrettai ad acquistarlo, ma il doppio album dal vivo si trasformò immediatamente in una cocente delusione, perché mi parve pretenzioso ed esagerato. In sostanza mi sembrò che i Simple Minds si stessero prendendo troppo sul serio, mutuando dalle grandi band del decennio precedente una certa tendenza alla grandeur. Vere o presunte che fossero le mie convinzioni, dedicai al disco un paio di ascolti e non ci tornai mai più sopra.
ABBA GOLD - GREATEST HITS [1992]
ABBA
Quando uscì la raccolta ABBA Gold (1992), che conteneva i brani più famosi del gruppo svedese, non ci pensai su neanche due secondi e la aggiunsi alla mia collezione di CD. I singoli degli ABBA erano stati la colonna sonora della mia infanzia, avevano accompagnato tanti pomeriggi passati a giocare, ma non si trattò certo di un acquisto dettato dalla nostalgia. In realtà, per quanto ascoltassi musica di tutt'altro genere, colsi semplicemente la palla al balzo, perché il delizioso pop del gruppo continuava a piacermi nonostante lo avessi messo da parte anni prima. Ripensandoci, furono soldi spesi bene, perché a casa mia ABBA Gold si trasformò in un autentico tormentone, inserito frequentemente nel lettore CD tanto da me quanto da mia madre. Questo è senza dubbio il ricordo più bello legato alla compilazione, che negli anni avrebbe venduto milioni di copie... lei che viene da me e dice "dove hai messo il disco degli ABBA"?