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discriminazione e discriminazione al contrario

Creato il 27 giugno 2014 da Gaia

[Non sgridatemi se posto; principalmente mi ero stufata di quell'immagine in prima pagina]

Recentemente, su questo blog qualcuno ha accusato l’ex premier Letta di aver scelto come ministro Cécile Kyenge “solo perché era nera”, commettendo così un atto di “razzismo al contrario”. Nel caso specifico io non sono d’accordo, ma mi sono accorta, riflettendo su questo e altri casi simili, dell’ambiguità del termine “razzismo” nel linguaggio comune. Il razzismo al contrario, così come la discriminazione al contrario, non esiste: il razzismo è razzismo, che sia di bianchi contro neri, di orientali contro orientali di un’altra etnia, e così via. Il femminismo non è il gemello del maschilismo: il maschilismo è una forma di sessismo, cioè di discriminazione basata sul sesso, che può andare sia in un senso che nell’altro.

Più in generale, mi sono accorta dell’ipocrisia e della confusione della nostra società in un momento in cui gruppi precedentemente discriminati riescono a ottenere qualche risultato nel miglioramento della propria posizione, e il senso di colpa degli “altri” o la loro nuova fiducia in sé porta a commettere atti più o meno gravi di “discriminazione al contrario”, o meglio discriminazione vera e propria. Faccio altri esempi.

Avevo promesso di non parlare dei Mondiali, e infatti non ne parlo, ma mi hanno colpito non tanto le parole di Balotelli (‘i miei fratelli “negri” non mi avrebbero trattato così’), personaggio di cui farei volentieri a meno assieme a tanti dei suoi sovraesposti colleghi, quanto lo scalpore che hanno suscitato e il fatto che qualcuno, per esempio su Il Manifesto (te pareva), abbia detto che ha ragione. Voi vi immaginate se un giocatore della nazionale italiana, bianco, avesse criticato Balotelli dicendo: “i miei fratelli bianchi non avrebbero tirato il culo indietro come te”? Balotelli, che volente o nolente (penso volente) ha costruito il suo personaggio in buona parte sull’essere un italiano “nero”, può usare la parola offensiva, “negro”, ai bianchi proibita, e va bene, ma può anche insultare razzisticamente i bianchi senza che nessuno gli dica: razzista. Anzi, parte della sinistra benpensante accorre: poverino, ha ragione! Faccio altri esempi, più o meno gravi, con altri gruppi, uno dei quali è il mio.

Ieri leggevo un articolo americano sugli stupri commessi da donne nei confronti di uomini. Forse anche alcuni di voi saranno increduli: come si fa a costringere un uomo ad avere un’erezione se lui non è consenziente? Se qualcuno avesse dubbi di questo genere, l’articolo lo spiega molto bene, portando anche dei casi ad esempio. La parte però più interessante è quella sulle discriminazioni insite nel linguaggio, nella legge, e nella società, per cui lo stupro di una donna contro un uomo non è proprio considerato “stupro”, e solitamente è meno creduto: per stuprare ci vuole un pene. Inoltre, gli uomini che hanno subito questo genere di violenza hanno paura a parlarne, temono di essere derisi come poco virili o di non essere creduti, e non sanno a chi rivolgersi. Addirittura, si racconta di un caso in cui una donna minaccia un uomo reticente di denunciarlo di stupro, sapendo che ad essere creduta sarebbe lei, e non lui.

Veniamo a un caso più frivolo: quello delle cosiddette modelle “curvy” – in italiano: formose, ma l’italiano non si usa più. Il fenomeno si sta espandendo, al punto che giornali anche generalisti, come Il Fatto, vi dedicano dello spazio. Qui le cose interessanti sono due. Innanzitutto, avevo letto da qualche parte che il modello di donna formosa tende ad emergere in tempi di crisi; non ho le prove, ma sicuramente adesso siamo in crisi, e questo modello pare emergere. In fondo, gli ideali di bellezza seguono sempre cambiamenti sociali ma soprattutto economici, e se una volta le donne ricche erano quelle bianche e morbide, che non dovevano lavorare, fino ai tempi più recenti le ricche erano quelle che potevano permettersi vacanze al sole, palestra e cibo sano: conseguentemente, tonica, magra e abbronzata era il nuovo modello. Adesso staremo a vedere: mi sembra che siamo in transizione. L’altra cosa interessante è che, come nei casi precedenti, ho notato che la società considera più accettabile insultare un membro del gruppo più forte che di quello più debole. Ormai, tutti sanno che dare a una donna della “culona” o della “cicciona” è offensivo; tanti lo fanno, ma vengono rimproverati. La mia impressione, invece, è che il contrario sia più accettato: se la generazione dei miei nonni si preoccupava delle ragazze troppo magre perché sapeva cos’è la miseria, quella attuale ha un rapporto molto strano con il corpo femminile, trattando la magrezza involontaria come qualcosa da insultare liberamente in un modo che non è più accettabile per la grassezza. Ci ho riflettuto prima di scriverlo, ripassando mentalmente i numerosi casi della mia esperienza personale, e mi sono accorta che ogni volta che una persona diceva di una ragazza che era troppo magra, nessuno la rimproverava né questa persona sembrava provare disagio, mentre l’insulto, variamente declinato, “troppo grassa” è giudicato come il razzismo: vergognati e non dirlo più. Tutto questo potrà sembrare frivolo rispetto ai più seri cambiamenti degli esempi di cui sopra, ma non dimentichiamo che sia l’anoressia che l’obesità possono uccidere, e che comunque l’accettazione di sé passa anche per l’accettazione propria e altrui del corpo; quando questa accettazione richiede di danneggiare il proprio corpo mangiando troppo o troppo poco c’è un pericolo per la salute sia fisica che mentale (purtroppo non riesco a trovare l’articolo e non ricordo il nome del paese, ma avevo letto di uno stato africano in cui le donne in carne sono così apprezzate dai potenziali futuri mariti che le madri le ingrassano a forza, riempiendole persino di ormoni, neanche fossero animali da macellare, finché alcune sviluppano gravi patologie o addirittura muoiono. L’equivalente europeo sono le madri, ne conosco, che sospirano preoccupate dicendo alle figlie di buttare giù i chili di troppo).

La mia impressione, e forse mi sbaglio perché questi fenomeni sono contraddittori e sfuggenti, è che stiamo assistendo all’ascesa di alcuni gruppi che hanno subito pesantissime discriminazioni in passato; parlo soprattutto di neri e donne, anche se nel binomio grassi-magri sono compresi elementi socioeconomici piuttosto complessi, che meriterebbero un’analisi. Al tempo stesso, questi gruppi in ascesa continuano a subire residui di razzismo o sessismo duri a morire. In questo momento particolare, in cui la società si divide tra chi è contento delle trasformazioni in corso e chi cerca di resistervi, chi si sente in colpa per discriminazioni che hanno fatto i suoi antenati, e chi vittima anche se non lo è, e in cui soprattutto andiamo incontro a un futuro diverso e imprevedibile, diventano accettabili in alcuni ambienti insulti “rovesciati” nei confronti di un gruppo prima dominante. Confusi, non sappiamo che pensare: un nero può insultare i bianchi in quanto tali? Lo stupro di una donna nei confronti di un uomo vale come viceversa? Umiliare una donna che ha “poche tette” è qualcosa di diverso dal dare a un’altra donna della “culona”? E soprattutto: riusciremo mai ad avere un modo di vera uguaglianza e, se sì, per avere il rispetto dovremo sacrificare l’appartenenza? Io, lo sapete, sogno una società di diversi e di pari, ma non è tanto semplice.


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