Il regime di Teheran ha bisogno di un capro espiatorio: sarà Mana. Lui e l'editore della rivista vengono messi in prigione. Mentre i due uomini subiscono settimane di isolamento e di interrogatori, gli Azeri organizzano diverse manifestazioni anti-governative. Le autorità ordinano di sparare sui manifestanti, causando numerose vittime. Dopo due mesi di detenzione, Mana riesce a ottenere un permesso temporaneo di scarcerazione. Decide allora di fuggire con sua moglie. Dopo lunghe peripezie che li vedranno passare per gli Emirati Arabi Uniti, la Turchia e la Cina, riusciranno a raggiungere la Malaysia e a stabilirsi lì prima di arrivare a Parigi nel 2010.
Le immagini valgono più di mille descrizioni. E nonostante la violenza e la durezza della storia, Mana Neyestani non dimentica mai di aggiungere qualche tratto ironico o commovente, come ad esempio la luna a quadretti che si vede dalla finestra a sbarre della cella, o lo scarafaggio che continua a comparire qual e là e che l'autore cerca ogni volta di scacciare via.
Rimane il pensiero che rispetto ai pochi che sono riusciti a fuggire, molti, moltissimi innocenti, considerati dissidenti, spariscono nelle carceri iraniane, dalle quale spesso non fanno ritorno, "...in tutta la mia vita non avevo mai visto tanti uomini così infelici..."