Siamo abituati a sentir parlare di disoccupazione da tutti ed in tutte le salse. Ne parlano gli studenti in classe con i professori, ne parlano gli economisti in tv, ne parlano perfino i miliardari (in euro).
Delle volte sembra che non ci si intenda sui significati delle parole, servirebbe quasi un vocabolario.
Il termine più ricorrente è la parola disoccupazione, senza aggettivi, tanto nelle “discussioni al bar” quanto negli “ormai immancabili” salotti televisivi gremiti dagli esperti di turno.
Potremmo individuare due macrogruppi di “confronto” sulla tematica.
Il primo può essere quello dei “salotti” privilegiati”, magari televisivi o magari di alcune commissioni parlamentari, partecipati da un ristretto numero di persone ma che godono di grande visibilità, in cui i più eruditi parlano di disoccupazione strutturale, flessibilità, costo del lavoro, inoccupati, stagisti…
Il secondo gruppo, anch’esso formato da gruppi ristretti di partecipanti che, a differenza dal primo, frequenta i cosiddetti salotti “de noi artri”. Salotti che cambiano spesso location: l’ascensore, la portineria dell’ufficio, un angolo del cantiere riparato dal vento durante la pausa pranzo degli operai, la mensa universitaria, la fila per l’imbarco in aeroporto, la fila dal panettiere… Questi salotti hanno si, meno visibilità mediatica dei primi, ma non per questo hanno una risonanza sociale meno efficace e pregnante. I termini usati in questi “salotti”, anche se apparentemente più pragmatici o meno forbiti sono in effetti molto simili: disoccupati rassegnati, precariato, tasse troppo alte per i datori di lavoro, gente che non ha mai lavorato, tirocinanti…
Proviamo a leggere dai due vocabolari gli stessi termini:
Disoccupazione strutturale: é quello stato in cui si trova il lavoratore per cui l’individuo, scoraggiato dalle difficoltà incontrate nella ricerca del lavoro, smette di cercarlo; nell’individuo si sviluppa un senso di frustrazione tale da portarlo all’isolamento ed alla perdita di stima di se e di fiducia verso il futuro suo e, nei casi più gravi, in quello della propria famiglia.
Disoccupati rassegnati: persone tristi; che non hanno più fiducia nel futuro e vedono tutto “nero”; persone che da sole non riescono ad uscire dalla loro situazione di miseria; persone che smettono di sperare nelle istituzioni perché le riconoscono, sulla loro pelle, incapaci di prendersi cura della società nella loro interezza.
Flessibilità: Nei “salotti buoni” con questo termine si indica da un lato l’opportunità offerta al lavoratore per gestire meglio il suo tempo lavorativo senza un vincolo di orario, e dall’altro intendono quelle forme contrattuali che avvantaggiano l’impresa che ha un esigenza di lavoro contingente e non può assumere in pianta stabile altri lavoratori senza rischiare la chiusura, oltre al vantaggio di testare il rapporto lavorativo prima di proporre al lavoratore un contratto più consistente.
Nei salotti “improvvisati” il termine flessibilità viene tradotto con la parola precariato. Si parla infatti di quel periodo che intercorre tra un contratto “flessibile” e l’altro. Si parla di precariato come condizione lavorativa creata dalle varie lobby per garantire maggiori utili ai portatori di determinati interessi. I lavoratori parlano di precariato come effetto ovvio-automatico naturalmente discendente dall’invenzione di quelle forme contrattuali vantaggiose solo per i datori di lavoro, pubblici e privati, anche se “colorati” con tante belle parole sulla efficienza del sistema. Il precariato è declinato dai giovani che hanno fiducia nel futuro, da un lato come una delle poche possibilità di lavoro dei giorni nostri, e dall’altro come un grosso ostacolo alla loro naturale attitudine a fare progetti a lungo termine; un esempio per tutti può essere quello della costituzione della cellula base della nostra società: la famiglia.
Costo del lavoro: Nei “salotti lucenti” se ne parla quando si tenta di andare a fondo nella questione della disoccupazione, come una delle cause delle difficoltà delle imprese ad assumere. Si auspica la riduzione del cuneo fiscale, qualcuno parla con fastidio dei costi della sicurezza troppo elevati… pur senza avere ancora la sfacciataggine per dire che vanno ridotti.
Nei “salotti dell’attesa”, non è il termine più usato, tuttavia si parla di tasse alte per il datore del lavoro e piuttosto si chiede una fetta maggiore di stipendio, perché si fa sempre maggior fatica ad arrivare alla fine del mese.
Inoccupati: “I salotti” hanno inventato questo termine per ridurre i numeri delle statistiche della disoccupazione… infatti inserendo questa nuova fascia, amorfa, si può escludere senza errore formale quella parte di popolazione, soprattutto giovani e donne che si sono occupate della cura della famiglia fino ai 35-45 anni, in cerca della prima occupazione, anche se impiegano anni a trovarla.
Nei “salotti sotto casa” non si sottilizza tanto… sono sempre disoccupati in cerca di occupazione… o semplicemente concorrenti più pericolosi, quando ci sono specifici finanziamenti che li fanno prediligere agli occhi dei rari datori di lavoro, oppure più spesso meno pericolosi perché senza esperienza.
Stagisti: I “salotti una spanna sopra gli altri” li definiscono come “ragazzi fortunati” che hanno la possibilità di affacciarsi nel mondo del lavoro, anche durante gli studi, per capire se quello è il lavoro che fa per loro.
Negli “altri salotti” quando si parla di tirocinanti si intendono quei giovani, anche se quarantenni o più, lavoratori sfruttati e non pagati, in cambio di formazione, nei casi più fortunati, e qualche volta invece frustrati perché “usati” per compiti diversi e banali “perché tanto sono gratis”. I più drastici, quando leggono notizie su colloqui e selezioni con code interminabili per un posto da tirocinante, lo usano perfino come sinonimo di sfruttamento legalizzato.
L’apparente diversità dei termini usati nei “salotti” “de noi artri”, anche se esteriormente più pragmatici e meno altisonanti dei “salotti mediatici” sono in effetti sempre gli stessi anche se diversamente declinati. Forse si potrebbe parlare delle due facce della stessa medaglia?
fonte: http://www.mediterraneaonline.eu [ 15/11/2011 ]