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Disonora il padre e la madre: le impensabili dimensioni di una piaga sociale

Creato il 17 maggio 2010 da Stampalternativa

Disonora il padre e la madre

Le allarmanti notizie sui pedofili, che in questi giorni riempiono i giornali, denunciando nell’oggi le dimensioni impensabili di un problema antico, mi hanno stimolato a rileggere questo libro, per entrare dentro la notizia e provare a viverla insieme al bambino abusato. Disonora il padre e la madre è uscito lo scorso anno e alla prima lettura mi aveva lasciato senza parole: sapevo che la storia fosse inventata, come lo stesso autore informa nell’ultima pagina, ma ero altrettanto consapevole che il tanto doloroso argomento trattato fosse troppo vero e nascosto nella realtà quotidiana. Un problema dalle dimensioni così spropositate nel nascondimento, da farmi sentire incapace di qualsiasi reazione, come se non fosse possibile fare qualcosa. Alla stregua delle donne della famiglia di Antonio, il bimbo protagonista: la mamma, la nonna e la zia.

Ma la reazione non deve essere il silenzio, come insegna la sua maestra, che sarebbe una forma di collusione con i pedofili, così ho riletto il libro, per agire, parlarne e essere vicina ai bambini, vittime della prepotenza, dell’ignoranza, dell’abbandono e delle perversioni degli adulti: genitori, parenti, insegnanti, preti, nei luoghi familiari dell’educazione e della formazione. Parlare di questo libro significa liberare la voce di chi è costretto al silenzio, permettendo ai bimbi di gridare il loro dolore, uguale al dolore del mondo.

Disonora il padre e la madre è un bel romanzo, costruito così bene da far piangere e stupire, come succede nei momenti più autentici della vita, capace di sorprenderci con dei fatti, che superano la fantasia. E l’autore nelle ultime pagine, aderendo alla realtà, inventa una chiusa, che lascia a bocca aperta nel contenuto, uguale ad una rivelazione, che accende la luce su tutto quello che si è letto prima, offrendo un’inedita presa di coscienza, come se prima non si fosse compreso quasi nulla, sciogliendo i nodi narrativi, permettendo di capire il significato insito nelle parole, nelle azioni e nelle relazioni. Le ultime pagine si ricollegano alle prime, dove si raccontano le paure del buio da parte del protagonista, che anima il vuoto di mostri, cavallette e ragni giganti; un bimbo, Antonio, che non vuole sparare ai topi, né schiacciare le lumache, che non è mai stato in braccio al babbo, proveniente da una famiglia di freddi, dove nemmeno si toccano tra loro.
Il senso dei pensieri e dei comportamenti del bimbo protagonista e degli altri personaggi si coglie nel suo significato solo alla fine della storia: l’abuso non è un episodio isolato, superabile con un’eventuale giusta terapia, ma costituisce l’anello di una catena, che imprigiona più persone, non solo la vittima e il pedofilo e che può coinvolgere i familiari di riferimento in una metamorfosi dell’amore in orrore. Una catena per sempre? Una ferita, una prigionia e un’eredità, che si tramandano, sì da trasformare la vittima in carnefice? Una condanna senza scampo, peggio dell’ergastolo? Una pena di morte lunga l’intera esistenza?

L’autore non da nessuna risposta: il racconto è preciso, pulito, senza sbavatura sentimentale o ideologica; procede per dialoghi e frasi brevi; ogni parola è una sola e sicura pugnalata; molte sono le comparazioni(il dorso della mano del nonno come il fondo del mare quando l’acqua si ritira), le riflessioni(i palmi delle mani dello zio Boris sempre aperti verso l’alto perché crede di offrire i suoi pensieri; il senso delle lettere e della maiuscola in particolare), le considerazioni(la carta che scrocchia delle patatine), le interpretazioni fantastiche(i fili d’erba sono i capelli degli gnomi, la nonna che mangia la luce come un invasore spaziale, di cui non ci si può fidare; i nani del giardino che s’animano di notte), le conclusioni(i grandi sono ciechi. Rubano i tuoi occhi) e le preghiere a Gesù, a Maria e soprattutto all’angelo, da cui Antonio vorrebbe spiegazioni, sentendosi da loro abbandonato nel suo momento più difficile. Ogni azione diventa un vissuto violento: il rapporto del figlio col padre è come tra animale e preda e la sua automobile al piccolo sembra una belva; figlio e madre non hanno niente da dirsi, ma è lei in famiglia ad affermare ad alta voce quanto è accaduto: Antonio è stato vittima di un abuso.

La reazione stupisce il lettore, perché la mamma piange e il babbo impreca, alla presenza del figlio, senza compiere nessun gesto d’affetto, di comprensione e di vicinanza nei suoi confronti, preoccupati solo del fatto che l’accaduto sia uscito dal segreto familiare, non di quanto possa aver provato il bimbo e sofferto il suo corpicino. I genitori nemmeno abbracciano Antonio, dopo aver saputo dell’ abuso, ma il babbo pretende che vada con lui dal violentatore, per affrontarlo, in nome del coraggio e dell’essere grandi. E la mamma rimane addirittura a casa ad aspettare. Le azioni e le reazioni sono motivati solo dalla preoccupazione di non farlo sapere in giro, senza interesse nei confronti del bimbo, tanto da provocare in Antonio un grande sentimento di solitudine(Morire è essere soli): pensa di essere lui a sbagliare sempre, desidera di non essere mai nato e conclude che Antonio non c’è. Antonio chi è?. La verità per lui è come una lama che taglia il cuore e una colpa muta fuori ma che dentro parla chiaro. Per continuare a sopravvivere decide di far finta e diventa il signor va bene, perché risponde così a ogni richiesta, senza più reagire né pensare una soluzione diversa.

L’autore non cede alla descrizione, anche se, padrone della lingua, ne sarebbe capace; la sintesi linguistica corrisponde alla sostanza della materia trattata, come una muta, profonda e pulsante ferita aperta: un peso che gira nel cuore, che fa mancare il protagonista, fino alla follia, fino a non sentire più dolore e che gli fa desiderare di rimanere chiuso nelle stanze senza finestre, senza angeli. Il punto di vista è unico: quello di Antonio, un bimbo solo con se stesso, che non vuol dire la sua verità al babbo, né chiede domande ai familiari, perché si sente preso in giro; un bambino raccontato nel momento di autonomia del pensiero; un figlio che sa prendere le distanze dai genitori e dagli adulti, che spesso discutono di stupidaggini; un piccolo che crede che il mondo lo possono salvare solo i bambini, un figlio chiamato nano dal padre e bizzarro dalla madre. E finalmente sappiamo come un protagonista di quell’età viva le sue giornate, osservi la sua realtà, valuti i genitori, i parenti e gli amici. Bravo è l’autore nel condurci con l’esattezza dei particolari nel sentire, nel vedere, nel pensare e nel giocare(il gioco del crociato e quello della lumaca) di un bimbo, all’interno di una famiglia come tante, dove il padre è un prepotente, la mamma una sottomessa, il nonno fissato al suo passato militare, la nonna senza grazia e dura come il suo dialetto, uno zio handicappato e un altro, invece, poliziotto, così importante, da costituire un modello per il bimbo, che da grande vorrebbe fare lo stesso mestiere. La città è Ferrara, l’ambiente borghese.

La modalità di narrazione scelta è particolarmente coinvolgente: la voce narrante da del tu al protagonista, come se ne fosse l’amico più intimo, l’unico in grado di raccontare e ricordare al piccolo Antonio i suoi pensieri nascosti, i comportamenti e le reazioni inconfessate, desiderate e represse di fronte ai fatti, che gli accadono e davanti agli adulti: il suo mondo affettivo di riferimento, dove s’annida il nemico. All’inizio si pensa che la voce narrante coincida con quella dello scrittore, schierato dalla parte del bambino abusato, ma procedendo nella lettura l’ipotesi risulta insoddisfacente e si è portati a identificare il narratore con un amico, il suo angelo, tanto pregato, che conduce la stessa identica esistenza del protagonista. Ipotesi scontata e soprattutto troppo distante da quella cruda fedeltà al reale, che costituisce l’originalità e il bello del romanzo. Alla fine, chiuso il libro, si arriva a supporre una coincidenza tra il bimbo protagonista e la voce narrante, come se questa esprimesse i pensieri di Antonio, che racconta se stesso, evidenziando nella scelta narrativa lo sdoppiamento psichico del bimbo, causato dallo stupro. Come se Antonio ripassasse le fasi dell’accaduto nella sua coscienza, come davanti a uno specchio parlante, quello specchio che gli faceva tanta paura, dove non voleva riflettersi, perché luogo della verità. La sua verità: il tuo cuore è esploso e ciò che eri, ciò che avevi, ciò che credevi, ciò che sei, ciò che sarai, che avrai, tutto questo è polvere. Come la lacrima di Batavia del nonno.

Disonora il padre e la madre - Un bambino stuprato, una famiglia normale di Alessandro Chiarelli
Collana Senza Finzione
264 pagine
ISBN: 978-88-6222-069-9


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