E io che a Lospalos neanche volevo venirci. L’autobus per Baucau, la seconda città timorese con i suoi 16.000 abitanti era semivuoto, per i primi cinque minuti. Andando caricare tutti i passeggeri di un secondo bus guasto però la capienza di circa trenta persone è diventata nient’altro che una stima soggettiva. Eravamo almeno in quaranta ad ascoltare musica pop portoghese a tutto volume, senza contare quelli sul tetto, quelli appesi dietro e quelli ai lati esterni. Poco male, dato che per percorrere poco più di cento chilometri ci sono volute circa tre ore e mezzo, ad una velocità tale il rischio d’incidente non credo esista.
Non so bene quanti chilometri disti l’Italia dal Timor. 15.000? 10.000? Insomma, abbastanza. Per non accontentarsi però, dopo aver atteso per quasi una settimana a Dili il visto indonesiano invece che avvicinarmi ho avuto la geniale idea di mettermi in marcia verso est, per capire un po’ cosa c’è oltre la capitale. Il programma iniziale era raggiungere Baucau, passare la giornata in città e poi dirigermi verso il villaggio di pescatori di Com in serata, dove passare i prossimi giorni. Il programma iniziale, come sempre, si rivela fallimentare. Il viaggio da Dili a Baucau sorpassa un paesaggio da torcicollo, per il non sapere da che parte guardare. Da un lato si stende un oceano azzurro, così vicino alla strada da poter vedere i pesci che ci nuotano, e dall’altro si innalza in una serie di curve verdissime da cui spuntano palme alte una decina di metri. Il viaggio è lento, è difficile contare fino a dieci senza che il bus rallenti o si fermi, a volte per buche nella strada, altre per un branco di capre che si scalda sull’asfalto.
In Timor gli orologi non hanno utilizzo. Gli autobus partono “di mattina” e cercare di fare piani in base al tempo è impossibile. “La fermata è sul waterfront” mi dicono all’ostello che lascio, ossia da qualche parte su un marciapiede lungo un paio di chilometri. Mi metto in cammino presto, prima delle otto, finché non trovo degli autobus colorati i cui autisti gareggiano per contendersi il turista. Quattro dollari, mi chiedono, probabilmente poco più del normale, ma va bene così.
Quando mi lasciano nel centro di Baucau mi trovo di fronte a una serie di bancarelle di lamiera che vendono poco niente. Se dovessi immaginarmi una piccola città africana, la vedrei come Baucau. Con la polvere, che non manca mai. Mi guardo intorno, faccio due passi, parlo con qualcuno. Quando chiedo come arrivare a Com in serata, la gente mi guarda stranita. L’unica opzione sembra essere noleggiare un intero microlet, i minibus utilizzati qui per i trasporti locali, che è pronto a rinunciare al suo normale giro e a tutte le persone che stanno aspettano per portarmi a Com per 15 dollari. Purtroppo 30 dollari per un viaggio così breve al momento sono fuori budget.
Un po’ incazzato per la non riuscita del mio piano mi faccio lasciare ad un’altra fermata dove prenderò il bus per Lospalos, l’ultima città ad est servita dai mezzi pubblici. Passerà? Si spera. Quando passerà? Non è chiaro. Alcuni bambini vengono a farmi compagnia a quella che dovrebbe essere la fermata. “Palos Palos?” mi chiedono, confermandomi in qualche modo che l’autobus passerà di qui. Uno di loro ha la maglia di Roberto Baggio, quella dell’Inter. Cerchiamo di comunicare, ma non è possibile. Così tirano fuori un cellulare e mi fanno vedere un video porno. Linguaggio internazionale.