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Distillati? No, grazie.

Creato il 05 gennaio 2016 da Ceenderella @iltempodivivere

Distillati? No, grazie

Ho voluto avere tempo a sufficienza per digerire la notizia prima di dire cosa penso della questione dei distillati, in vendita dalla fine dell’anno scorso – che strano dire così dopo appena cinque giorni – e causa delle ultime polemiche riguardanti la lettura. Ne parlavo ieri su twitter con delle persone, e mi è sembrato che, in pausa dalla noiosità di articoli di giornale vecchi duecento anni, i tempi fossero maturi. Anche se non posso garantire un pensiero coerente e, soprattutto, non ironico e/o sarcastico.
Ci ho pensato a lungo, ho affidato a Facebook un post polemico una settimana fa e ancora ci penso. Perché, amici, questa non è l’editoria che voglio, né quella con cui tra qualche mese mi voglio trovare a fare i conti. Francamente, online e non, ne ho lette e sentite un po’ di tutti i tipi e solo in pochi casi sono stata completamente d’accordo.
Io non credo che i distillati sanciscano la morte della lettura come qualcuno si è affrettato a dire né che avranno successo tra tutte le persone che vogliono sentirsi più fighi dicendo di aver letto

Distillati
qualcosa senza averlo in realtà fatto: esiste Wikipedia per quello. Inoltre, già in passato si è messo in vendita romanzi condensati, tagliuzzati nelle parti definite “noiose” o “superflue” – qui verrebbe da domandarsi per chi e in base a cosa noiose e in quale senso superflue, perché è giusto ricordare che i tagli, in fase di editing, questi romanzi li hanno già subiti per cui che si sia accorciato “rispettando la storia” non è proprio esatto – e la cosa non ha riscosso alcun clamore, quindi, tranquillizziamoci, non ne sentiremo parlare tanto a lungo. Quello che però mi perplime è la strategia di marketing che gli sta dietro, ovvero lo spacciarli come la medicina al male della non lettura, quello che sicuramente saprà far avvicinare chi non è abituato a leggere né ha intenzione di farlo. Gli si occhieggia dicendogli che è indolore, durerà poco, nemmeno se ne accorgerà che è passata un’oretta, come se questo fosse un bambino bizzoso da tenere a bada mentre gli si sta per fare una puntura; lo si incita a fare qualcosa che non vuole, considerandolo stupido proprio perché non gli va, senza rendersi conto che se non legge, imporglielo farà ottenere solo l’effetto opposto ma soprattutto gli si infilerà un ritornello in testa che non farà che ripetergli che rimarrà stupido nel suo non leggere e che nel circolo dei grandi e intelligenti non ci arriverà mai. Be’, amici, io credo che un lettore valga tanto quanto un non lettore e, se mi può dispiacere perché nei libri io ho (ri)trovato me, quello che voglio e ogni giorno un conforto e perché penso che esista il libro perfetto per ognuno, colui che non legge può benissimo aver trovato altrove ciò che io vedo nelle pagine stampate e per giudicare una scelta o un modo di sentire io non sono né sarò mai nessuno.
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Inoltre, dirgli che “abbiamo ridotto le pagine, non il piacere” è una balla bella e buona: se leggere è piacere come anche io credo (insieme a molte altre cose), lo sarà anche quello di un libro intero, completo di tutte le parti che autori ed editori hanno ritenuto indispensabili e se appunto è “un piacere” più dura meglio sarà. Non ho mai sentito nessuno dire: “Oh quanto mi sto divertendo, speriamo finisca il prima possibile”. Ma, dopotutto, se si ha poco tempo cosa vieta di optare per un libro intero e breve? Dove sta scritto che la lunghezza fa la qualità? Più ci sono pagine più il romanzo è buono? Ho letto libri brevi di gran lunga migliori di romanzi con il doppio, se non il triplo delle pagine, quindi posso a ragione ritenerla un’idea becera.
Se questa è una malsana idea di avvicinare alla lettura, davvero, mi spiace doverlo dire ma non funzionerà. Non lo si fa con l’imposizione, che è ciò che spesso genitori e persino insegnanti sbagliano a fare, né con lo strizzare l’occhio alla semplicità e alla banalità. Perché che sia un’operazione stupida smembrare un best-seller è facilmente intuibile. Stiamo parlando, difatti, di libri che sono letture veloci e leggere, che non richiedono chiaramente la stessa applicazione mentale di Tolstoj o le sorelle Brontë e che, proprio per questo, più abbordabili per chi non abituato ad avvicinarsi a letture più impegnate.
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La cosa non è nuova, no. Ricordo edizioni accorciate di grandi classici, cose che, da bambina, ancora non potevo comprendere appieno e che venivano dunque rese più accessibili a un pubblico diverso, qual era appunto quello di cui facevo parte. Si trattava, però, di classici intramontabili (ricordo per esempio Il buio oltre la siepe nella biblioteca di scuola) e non di titoli di grande punta e distribuzione come quelli promossi da Centauria coi suoi distillati: questi sono, infatti, romanzi che negli ultimi anni hanno venduto tanto e continuano a farlo e sicuramente comprensibili al grande pubblico, dotato, si suppone, di tutte le capacità e gli strumenti per coglierlo (e se così non fosse, questo sì, sarebbe un indice davvero grave su cui interrogarsi). Una cosa del genere, inutile girarci attorno, significa, dire al lettore che è stupido, che nemmeno un titolo con una complessità relativamente abbordabile come Venuto al mondo di Margaret Mazzantini sa capire e allora gli si facilita il compito. Si taglia qua e là quelle parti che tanto salterebbe a piè pari, le lunghe digressioni sulla guerra e pure le riflessioni e l’angoscia del non riuscire ad aver figli, si omettono i lunghi silenzi che si rincorrono per pagine e pagine tra Diego e Gemma, si eliminano due o tre personaggi non principali che tanto poco cambia e si punta tutto direttamente sui dialoghi ritenuti più essenziali perché si possa poi dire di avere in mente chiaro un sunto delle vicende. Sarebbe, per un cinefilo, come tagliare i close-up solamente sugli occhi di Sergio Leone perché che mi frega di quello con gli occhi blu, io voglio gli spari e l’azione; come tagliare parti a caso di Bohemian Rhapsody perché, oh, ma che siamo pazzi a sentire una canzone lunga così tanto? Ma non lo sanno che qui andiamo tutti di fretta e non abbiamo tempo per niente? E allora va bene così: siamo pigri, leggiamo i distillati, guardiamo solo i trailer dei film, sentiamo il ritornello delle canzoni, introduciamoci nelle discussioni a metà senza aver sentito le premesse, studiamo solamente quello che si trova online più corto possibile, viaggiamo girando solo gli aeroporti per dire di esser stati in un certo posto. Non accendiamolo, il cervello, che, povero lui, si stanca facilmente.
No. Impariamo l’arte della pazienza. Avviciniamo i non lettori alla lettura promuovendo biblioteche e prestiti interbibliotecari sul territorio, instilliamo fin da piccoli ai bambini la scintilla di magia che un libro porta con sé, stampiamo anche e soprattutto libri che sappiano parlare nel profondo e non essere solo carta da macello che domani dimenticheremo. Ma soprattutto rendiamoci conto che assillare una persona che odia farlo affinché legga è come portare un vegano a mangiare la bistecca con l’osso: starà a stomaco vuoto, piuttosto che assaggiarla. E, in tutta sincerità, fa bene: non perché non ami la bistecca – che fiorentina sarei altrimenti? -, ma perché una scelta è personale e nessuno può arrogarsi il diritto di far cambiare idea agli altri. E poi, oh, siete egoisti!


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