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“Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur” protestarono gli ambasciatori mandati da Sagunto a Roma. Mentre nel Consiglio regionale si bisticcia, la Sardegna e le sue prerogative vengono espugnate, vien da attualizzare. A Cagliari la politica è impegnata in uno scontro fra gruppi di potere, l’Ufficio regionale del referendum si sostituisce alla Corte costituzionale e, motu proprio, dichiara incostituzionale il referendum sull’indipendenza promosso dal movimento di Doddori Meloni. È uno degli atti più gravi (anche se non inedito, come vedremo) perpetrati contro il diritto di un popolo alla propria autodeterminazione. Un diritto garantito dalle Nazioni unite con l’avvallo della Repubblica italiana. Non uno dei partiti sedicenti autonomisti ha avuto qualcosa da dire e, salvo quelle di Partito sardo, Sardigna natzione e, naturalmente, Malu Entu non si è levata alcuna protesta. So benissimo – non sono improvvisamente diventato qualunquista – che le discussioni in Consiglio regionale hanno senso e che le parti hanno ragioni da accampare: l’opposizione condannando l’assenza di Cappellacci e del suo governo al completo in un’importante discussione; la maggioranza giustificando l’assenza del presidente impegnato in un confronto fra regioni e Stato; la presidente del Consiglio censurando l’affronto istituzionale fatto dalla giunta che con la sua assenza ha impedito lo svolgimento della seduta. Che lo scontro istituzionale non sia banale è certificato dalle voci di un possibile ricorso ad elezioni anticipate. Il problema è che i partiti, tutti salvo il Psd’az, si stanno massimamente interessando solo ad uno dei due scontri istituzionali che si sono aperti. Anzi, di quello più grande, che coinvolge la Regione e un suo ufficio, quello del referendum, neppure si ha consapevolezza. Il Governo sardo e il Consiglio regionale avrebbero dovuto reagire all’unisono contro questo affronto che, ripeto, lede non solo la sovranità del popolo sardo, ma soprattutto un diritto sancito dall’Onu e riconosciuto dallo Stato italiano e del suo Parlamento. La speranza è l’ultima a morire e, quindi, speriamo che ci sia una reazione, grave almeno quanto l’atto dei magistrati dell’Ufficio del referendum. Questa inaudita bocciatura ricorda da vicino un’altra avvenuta nel 1987, quando la Consulta impedì lo svolgimento di un referendum, anch’esso consultivo, sulla base americana di Santo Stefano, alla Maddalena. Allora ci furono reazioni ambigue: i partiti italiani, con qualche eccezione individuale di uomini politici, condivisero la decisione del Governo italiano che aveva impugnato la indizione del referendum e della Corte costituzionale di bocciatura. Anche allora, il Partito sardo, che guidava il Governo regionale con Mario Melis, protestò con molta forza, ma non ebbe il coraggio di indurre Melis a dimettersi da presidente della Regione. Un grave errore che, messo insieme ad altri, alla fine decretò la riduzione al lumicino di un partito che appariva in costante crescita. So che, nello stato comatoso e rissoso della politica sarda, è solo un sogno di normalità impossibile. Ma se tutti i partiti presenti in Consiglio, anche quelli che risultano dalla polverizzazione della maggioranza, avessero per una volta il gusto di sollevare tutti insieme gli occhi dal cortile in cui si becchettano, per interessarsi a questioni sostanziali, di diritto internazionale, credo che la stragrande maggioranza dei sardi avrebbe una considerazione diversa da quella che oggi ha di quel cortile. Allora, anche la richiesta di dimissioni di Ugo Cappellacci in reazione alla bocciatura del referendum, apparirebbe meno dettate da ragioni di bottega politica.
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