Hope Gangloff
Tornare a casa la sera, lasciando che la macchina guidi da sola; cercare un parcheggio da esperta di piccoli sotterfugi, ritagliando spazi dove nessun altro li troverebbe. E la mattina, immancabilmente, domandarsi dove sia, tanto il gesto è quotidiano, ripetitivo, uguale, indistinguibile da quello di ieri o di un mese fa.
Prendere le medicine del giorno, pillole piccole e grandi, rosa e bianche e rosse, quelle che i lasciano l'amaro in bocca e quelle che scivolano via leggere, così, sempre nello stesso ordine, allo stesso orario, riconoscendole a tatto. E se una sera lo fai sopra pensiero, ti domandi se le hai prese o no, tanta è l'abitudine.
Così come salare l'acqua per la pasta: l'avrò fatto o no? Quante volte ti tocca assaggiare, per verificare?
Ma peggio: farsi passare la fermata usuale del treno, incantata dietro un pensiero cullato dalla monotonia, oltre il finestrino, di un paesaggio noto.
Perdere la fase conclusiva di un film, per rimuginare sulla magia di scene, colori e fotogrammi; o persa nel rimando di una eco visiva che le immagini ti hanno richiamato alla mente.
Accorgerti che della pagina che hai davanti, un libro, un giornale, hai capito assai poco: la mente vagava lungo una catena illogica e labirintica, dietro un filo di Arianna che si dipanava da chissà quale parola, da chissà quale analogia.
Vedere un punto di domanda negli occhi di chi ti parla, o sentire lo stesso interrogativo nella voce a telefono: perché hai perso un passaggio chiave, ti sei inabissata in tuo percorso interiore, chiudendoti in te stessa, in un paarllelo universo sconosciuto.
Impossibile star dietro ai gesti ripetuti, banali, quotidiani, sempre uguali, che non pensi coscientemente e che non penetrano la coltre soffice della distrazione, delle preoccupazioni, del nuovo, di quello che merita attenzione e che occupa la tua mente.
Ventiquattr'ore sono poche per tutto quello che affolla la tua esistenza, che occupa spazio emotivo, pensiero logico e illogico, riflessione e sogno. Libri che leggi, film che vedi, echi delle persone incontrate, dei discorsi fatti, programmi per il domani e rincorse del tempo passato.
Le piccole routine quotidiane che fanno la vita, finiscono per essere respinte ai margini, per diventare una azione meccanica del retro pensiero.
Che sembrano sabbia che scivola impercettibile tra le dita e costruisce, oltre le mani, un monticello fragile e instabile, che è già il nostro ieri, mentre ancora lo stiamo vivendo.
O sarà così che comincia l'alzheimer?