Magazine Diario personale
Frigorifero drammaticamente vuoto, pigrissima di cucinare per me una settimana di yogurt e mele, ma mi raggiunge al mare per il fine settimana il figlio Marco, urge un supermercato. In un certo punto la strada si restringe, la doppia circolazione è difficoltosa, forse mi tocca pure la precedenza, ma non ho fretta, mi sono fermata ed ho lasciato passare. Cinque macchine mi sono sfilate davanti senza un cenno di ringraziamento, non uno. E' stato in quel momento che ho cominciato la riflessione sulla parola "grazie" e sulla difficoltà misteriosa della gente di servirsene. Eppure è facile e corta, forse deve essere parola easy per essere memorizzata e pronunciata senza problemi da tutti, solo sei lettere come in spagnolo e in inglese perché la utilizzano al plurale, cinque in francese e in tedesco lingue notoriamente più pragmatiche, in ebraico addirittura solo quattro, non a caso la mia tribù passa per tirchia. Tre consonanti, la g e la r mi sembrano molto democratiche e di facile accesso, duretta la z, deve far pesare che è l'ultima lettera dell'alfabeto, ma ci sono due vocali dopo per addolcirla, insomma, foneticamente ci siamo. "Grazie" appare parola molto modesta, niente a che vedere con escatologico, angone o sfrombolare che se le senti vai in crisi e ti fiondi subito sul vocabolario. Grazie non se la tira per niente, è esplicita anche in silenzio, si accontenta di un cenno del capo o della mano, talvolta può bastare un sorriso. Se qualcuno mi spiegasse perché viene così poco adoperata, gli sarei riconoscente. Attenta a non dirla a vanvera che sennò perde di valore, io ne faccio largo uso, come il sale o il dentifricio, perché ogni giorno porta con se mille occasioni. Ho scoperto che pronunciarla non è faticoso e non mi arreca nessun disturbo fisico, voglio dire che l'epiglottide tiene bene e la mascella maxillo-facciale regge lo sforzo, dalla testa non mi cade nessuna corona e anzi, predispone la gente favorevolmente nei miei confronti; la dinamica è in fondo la stessa della scommessa di pascaliana memoria e della medicina omeopatica, se pronunci la parola magica comunque male non fa e magari ne trai addirittura dei benefici. Per sapere in quale epoca l'uso della suddetta è entrato a far parte del vivere comune nel nostro mondo occidentale ( in India per esempio non si usa, altra cultura altri parametri ) sono andata a consultare "La civilisation des moeurs", un testo chiave di quel pioniere della sociologia che è stato Norbert Elias, allievo di Husserl e Jaspers. Di specifico a "grazie" non ho trovato niente, ma preziosa la riflessione generale che il linguaggio, come tanti altri aspetti di una civiltà, non è che un indice della sensibilità e del comportamento umano in un dato periodo storico, soglia del sentire in mutazione costante. "Elle montre aussi dans quelle mesure les impulsions de cette évolution proviennent de la structure sociale, des formes humaines d'intégration et de relation". E se per il sociologo l'apparizione più o meno improvvisa di una parola in seno ad una comunità linguistica sta ad indicare un cambiamento di stile di vita nei membri che la compongono, mi domando cosa vorrà significare la sua progressiva scomparsa.