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Diversamente mobili: andare oltre la continuità territoriale
Creato il 04 maggio 2011 da ZfrantziscuUn diversamente abile, è bene che si sappia, non vuole essere agevolato. Chi ha avuto il piacere e il privilegio di lavorarci insieme lo sa. Sa quanta dignità e quanta schiena c’è in una persona che ha la spina dorsale spezzata da un incidente stradale o dalla vita. Il diversamente abile vuole avere semplicemente gli stessi diritti dei cosiddetti normalmente abili. Non vuole essere agevolato da lui per poter entrare in un bar con la propria carrozzina. In un bar, in qualsiasi bar, ci vuole entrare lui, con le sue braccia forti e tese come i rami di un ginepro. Non vuole essere sospinto dalla bontà di un normalmente abile che lo agevoli e che lo vezzeggi. Mentre pensavo al mio infinito monologo contro il caro traghetti mi sono venuti in mente il mio amico Tonino ed la mia amica Eliana con i suoi numerosi articoli, sempre ignorati, sul diritto a vivere e a muoversi in un luogo che fa di tutto per farla stare dentro casa. M’è venuta in mente la loro fatica, il loro zigzagare fra cassonetti, lampioni e marciapiedi vergognosi. M’è venuto in mente che il loro diritto alla mobilità veniva calpestato proprio da quelli che da trent’anni dichiarano, a parole, di agevolarli. Gli stessi che, fra qualche mese, dopo avergli consegnato il santino con la loro effige sorridente, gli chiederanno il voto. E mi è venuto in mente che a volte le parole sono patelle che si attaccano al cervello impedendogli di pensare al significato di cui sono portatrici. Si prenda l’espressione “continuità territoriale” sempre seguita o preceduta da verbi quali “agevolare” “aiutare” “scontare”. Vorrei dirlo chiarezza: io non voglio una continuità territoriale che mi agevoli o che mi faccia uno sconticino. Io non voglio raccogliere, inchinandomi, le briciole cadute dalla tovaglia. Io voglio avere, come i miei due amici in carrozzina, il diritto alla mobilità, il diritto a un marciapiede senza intoppi, senza agevolazioni e senza nessuno che mi dia il contentino della continuità territoriale per farmi tacere. Io e i miei due amici il contentino non lo vogliamo. Io e i miei due amici vogliamo volare più in alto: vogliamo che il diritto alla mobilità assicurato dalla Costituzione Italiana, che abbiamo studiato nella Scuola Italiana, ci sia garantito. L’articolo 16 di quella Costituzione recita che lo Stato Italiano garantisce che posso “circolare liberamente in qualsiasi parte del territorio italiano”. Se io non circolo e non mi muovo agli stessi costi di uno che abita a Modena o a Cassano Magnago - luogo di nascita di quel Bossi che fa il bello e il cattivo tempo in un’Italia in cui non si riconosce - questo vuole dire che io non sono libero e che le parole sono, appunto, solo parole. E se le parole non diventano fatti io ho il diritto di non sentirmi figlio di questa patria che non mi vuole libero, almeno non più di un cane alla catena. Qualcuno si chiederà: ma non sentirsi cittadino italiano è considerato vilipendio alla Costituzione? E’ una risposta che, chiedo venia, non so dare. Magari, giusto per una curiosità, si potrebbe fare la stessa domanda a chi da vent’anni disprezza impunemente la Costituzione. E, ma senza distrarli troppo dalle loro genuflessioni, a quelli che gli consentono questo disprezzo.
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