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Divorzio all’estero per gli italiani

Creato il 16 maggio 2013 da Postpopuli @PostPopuli

 

di Claudia Boddi

Lo chiamano “divorzio comodo” o “divorzio express”. È il nome che si sono date molte agenzie, nate ad hoc per gestire le pratiche legali per il più comunemente conosciuto divorzio all’estero. Pacchetti all inclusive, comprensivi anche di biglietto aereo e soggiorno nel paese prescelto per tornare “liberi”, sono disponibili a patto che i due quasi ex coniugi siano d’accordo su tutto, che la decisione quindi sia consensuale. In testa alla lista delle mete preferite, la Romania, che propone un iter velocissimo ed economicamente conveniente, seguita dalla Spagna – dove il divorzio si può ottenere in sei mesi -, dalla Francia – dove ce ne vogliono tre -, dall’Inghilterra, dove basta prendere il domicilio, e dalla Bulgaria, con la quale il bel paese sta provando ad aprire una collaborazione.

foto nuke.mollotutto.com

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Tempi di una rapidità impressionante, per noi, che in Italia siamo abituati ad aspettare tutti gli anni necessari che servono per uscire dalle pastoie burocratiche che compaiono e si intersecano quando si parla di questa materia e del suo divenire. Tre, sono quelli che devono trascorrere, dopo la prima fase di separazione per avviare la procedura successiva e ottenere il secondo giudizio. Cinque anni è il tempo medio di attesa, quando la separazione è consensuale. In presenza di disaccordo tra i coniugi, sulle questioni più diverse che possono sorgere – non ultimi gli assegni di mantenimento cui molti conflitti sono imputati dalle ex coppie -, il periodo può allungarsi in maniera importante fino ad arrivare a dieci, dodici anni. Quello che colpisce è che in questi lunghi periodi di tempo, la vita continua a scorrere, si formano nuove coppie di fatto, nascono altri figli naturali, senza che una cornice legale sia posta a tutela di scelte che influenzano fortemente i percorsi dei singoli.

Sempre indietro sulla tabella di marcia, rispetto agli altri paesi, l’Italia approvò la legge Fortuna-Baslini nel 1970, per poi sottoporla a referendum nel 1974. Mentre negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Francia, il divorzio esisteva già da secoli, noi dovemmo aspettare gli anni Cinquanta e Renato Sansone per sentir parlare per la prima volta di “piccolo divorzio”. Una proposta di legge, quest’ultima che limitava la possibilità di separazione definitiva, a casi particolarmente drammatici: se uno dei due coniugi fosse stato un serial killer o un malato di mente o se fosse detenuto per decenni per tentato omicidio. Da lì, per fortuna, alcuni passi avanti sono stati compiuti.

Dopo aver lungamente vagato raminga in Parlamento, scomparendo a più riprese dagli ordini del giorno delle Commissioni giustizia e affari istituzionali, nel 2012 la proposta di legge sul “divorzio breve” viene finalmente presa in considerazione in maniera organica. Questo innovativo progetto di legge proponeva sostanzialmente una riduzione dei tempi per richiedere il divorzio stabiliti in tre anni dall’omologazione della separazione consensuale e dalla sentenza della giudiziale. Uno degli emendamenti suggeriti al testo riguardava, per esempio, la durata della separazione ininterrotta laddove la coppia avesse figli minorenni: in questo caso, sono stati indicati due anni, anziché uno – limite per le coppie senza figli minorenni – per dare maggiore attenzione agli aspetti dello sviluppo emotivo e affettivo dei bambini. Altro tema sottoposto a nuova verifica sarà quello dello scioglimento della comunione dei beni che sarebbe autorizzato a partire da quando il presidente del Tribunale consente ai coniugi di vivere separati.

Come descrive un dettagliato dossier del Sole 24 Ore, dopo che alla fine del 2012 erano 180mila le persone che si sono separate, 55mila le coppie che raggiungevano il divorzio e 150mila i bambini e i ragazzi coinvolti nella fine di un matrimonio, oggi siamo a chiedere che fine abbia fatto la riforma sul divorzio breve. Alla stregua di chi nasconde la polvere sotto il tappeto, per ignorarla e far finta che non ci sia, così i parlamentari si comportano con questo disegno di legge che era già pronto per essere discusso a maggio 2012. Spesso infatti l’argomento non viene nemmeno calendarizzato, scivolando piano piano nel dimenticatoio istituzionale. Tra la campana cattolica, che definisce il sostegno del Governo a tale proposta fin troppo politico, e il versante opposto che accenta come ancora troppo lunghi i tempi per separarsi, il progetto di legge firmato Maurizio Paniz, rimane bloccato nell’indefinitezza delle agende politiche.

A fronte dei problemi legati all’occupazione e al debito pubblico, è comprensibile che il problema degli italiani che emigrano per divorziare non sia di primaria importanza ma continuiamo a sperare in un miglioramento complessivo della situazione, in modo tale che tutti i tasselli che compongono il quadro sociopolitico del nostro paese possano ritrovare il loro giusto spazio.

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