Il profumo dei gelsomini appena sbocciati ha accompagnato la lettura di questo breve romanzo. La loro grazia e bellezza ben si accorda alla figura di Plectrude, occhi da ballerina e mente tenace che affronta un destino spesso tragico e sublime.
Le circostanze della nascita di Plectrude sono assai singolari, quasi quanto il suo nome, fortemente voluto dalla madre. Perchè in un nome si cela il destino di una persona: i suoni, le dissonanze, la particolarità possono esaltare o affossare una persona, sottolineandone le caratteristiche. Amélie lo sa e pone sempre grande attenzione nella scelta dei nomi dei suoi personaggi. E non lo facciamo anche noi quando giunge il momento di scegliere il nome di un figlio? La nostra eroina è bellissima, come la protagonista di una favola, e quasi una favola sembra questa narrazione, se non fosse per gli incisi dell’autrice che ci riportano bruscamente alla realtà, interrompendo l’incanto. Seguiamo le sue avventure di bambina prima e di adolescente poi, ammirati dalla grandezza delle sue qualità e dei suoi difetti.
La danza, il cibo, la madre, la morte, l’amore, Amèlie Nothomb. Questi i temi principali del romanzo. Non ci sono refusi, sono proprio gli argomenti principe di qualsiasi romanzo della scrittrice belga. Le immagini che riesce a creare, il rovesciamento dei luoghi comuni, danno un sapore particolare alla lettura.
Eppure non è uno dei migliori libri della Nothomb, forse per la poca unitarietà del racconto, diviso in più scene che si concludono bruscamente, spesso in maniera surreale. C’è forse troppo compiacimento in questo romanzo, un manierismo che stanca senza affascinare del tutto. Il gioco che conduce la mia scrittrice preferita è sempre molto pericoloso e rischia più volte di far crollare la sua meravigliosa cattedrale, oggi costruita su fondamenta di argilla, invece che farle spiccare il volo. Tuttavia il fascino della lettura è superiore a qualsiasi dissonanza e le pagine scorrono veloci, fino alla conclusione. Totalmente inattesa.
Dizionario dei nomi propri (Robert des noms porpres) di Amélie Nothomb (2002), traduzione di Monica Capuani, edizione Voland, pagg 148