Quante cose sono andate perdute nel tempo?
Francesco Guccini ha avuto l'intuizione di raccogliere in un piccolo dizionario (a cui ne è seguito un secondo nel corso degli anni) quelle che più gli stavano a cuore. Oggetti quotidiani della sua infanzia e giovinezza che oggi nessun bambino e nessun ragazzo vive più sulla propria pelle. Perché non raccontare, a chi una volta non c'era, che cosa c'era davvero una volta?
Questo Dizionario delle cose perdute è una lettura veloce e semplice, da fare in un paio di serate invernali, vicino al caminetto acceso, là dove in un tempo senza televisione, internet e corrente, le storie venivano narrate e tramandate di padre in figlio in nipote.
C'erano una volta, in un'Emilia di qualche decennio fa, come in mille altre campagne italiane, bambini costretti a girovagare d'inverno con le braghe corte e d'estate con le maglie di lana, perché, saggezza popolate docet, dove non passa il freddo non passa neanche il caldo. E non c'erano una volta i videogiochi, ma c'erano giornate intere passate per strada, a costruire giocattoli col legno bucato del sambuco, a creare piste per le palline antenate delle biglie. C'erano una volta visi impolverati e ginocchia sbucciate.
C'erano una volta bambini che crescevano quando quegli odiosi pantaloncini erano sostituiti dai pantaloni lunghi, quando si poteva andare a ballare e, soprattutto, quando arrivava la cartolina per il militare, per la naia. Lì i ragazzi diventavano uomini, con i capelli rasati e la fidanzata a casa che chissà se avrebbe aspettato davvero il loro ritorno.
Erano altri tempi, semplicemente. Migliori per un verso, peggiori per altri. Penso che internet sia stata un'invenzione favolosa, che ha ampliato i nostri orizzonti in maniera esponenziale, avvicinandoci a realtà che, altrimenti, non avremmo conosciuto mai. Devo ammettere però che mi fanno un po' tristezza quei bambini appiccicati ai loro smartphone, tablet e chissà quanti altri aggeggi tecnologici. Come Guccini ho molta nostalgia per le ginocchia sbucciate dei bimbi.