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Django, la D è muta

Da Hombre @LaLineadHombre
Django, la D è mutaDavvero non mi ricordo chi era che sconsigliava fortemente di raccontare e scrivere dell'amore. Se avete una qualche velata ambizione narrativa state alla larga dallo spinoso tema. Dell'amore hanno parlato e scritto tutti e, giocoforza, tra i tutti ci stanno i grossi calibri con i quali, sempre che vi ostiniate a scrivere dell'amore,
dovreste raffrontarvi. È impresa improba assai.
Meglio dedicarsi a un soggetto, un episodio, un dialogo particolare per il quale non siano stati versati fiumi d'inchiostro. Osservate una sedia intarsiata o un tizio qualunque che attraversa una strada o scende da un tram, partite da lì, sarà più facile.
Tutta 'sta bobina per dire che non è auspicabile mettersi a tessere le lodi di mister Quentin Tarantino perché inevitabilmente si cade nel trito e nel già detto.
Ciò nondimeno, noi testedure, ci si prova.
Quando hai dato vita a un capolavoro assoluto, se non sei Michelangelo - e di solito non lo sei manco per il cazzo! - dovresti ritirarti sulla cima d'una montagna a vita, in uno di quei buchi scavati nella roccia, vedere meno gente possibile, mangiare radici e bacche e, assolutamente, non cercare di produrre una nuova opera.
Ringraziamo per questo il buon Salinger che infagottatosi per bene di misantropia e consapevolezza s'è tolto presto dalla circolazione, pure se non ha dovuto ricorrere al suicidio per dare la stura al suo successo.
Rischi di fare la fine di Benigni che, povero, a valle de La vita è bella cosa avrebbe potuto inventarsi? Dove poteva andare a recuperare uno spunto, un'idea da rendere quantomeno presentabile? Avrebbe dovuto attendere 10, 20 anni prima di farsi vivo al cinema con qualcosa di suo e sperare che noi, nel frattempo, avessimo dimenticato la bellezza di quella pellicola.
Quentin cosa fa, invece? Scrive e gira IL FILM per eccellenza, quello che incarnerebbe il numero massimo di stelle nella scala ideale di valutazione della cinematografia mondiale, Pulp Fiction ça va sans dire e, invece di saggiamente rintanarsi, continua ad esporsi.
E qui sta il suo azzardo e il suo merito, va detto. Django, come Kill Bill, è un'opera eccellente ma che paga com'è ovvio e necessario il suo bel dazio a Pulp Fiction.
Quando si ragiona di Quentin, quindi, è d'uopo avvicinarsi alla sala e contemplare la sequenza delle immagini cancellando dalla memoria i ricordi legati al FILM, considerare che non sia proprio mai stato nemmeno girato. Solo così potrete apprezzare il valore di un Hattori Hanzō o, magari, di un negro a cavallo.
Il film è spruzzato d'italianità con Franco Nero in amichevole partecipazione ed Elisa in soundtrack.
Senza spoilerare niente aggiungo un cenno di apprezzamento per Don Johnson che si scrolla di dosso quel ruolo di detective che l'ha marchiato per la vita lasciando l'ufficio di Miami al suo Vice e, finalmente, dando un senso al titolo della serie.
Ma l'ho detto quello che volevo dire? Forse no. Vabbè, era difficile.

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