di Quentin Tarantino (USA, 2012)
con Jamie Foxx, Christoph Waltz, Leonardo DiCaprio, Kerry Washington, Samuel L. Jackson
VOTO: *****/5
E invece... beh, i dialoghi verbosissimi ci sono ancora, così come le innumerevoli citazioni e i personaggi assurdi. Per non parlare della violenza in quantità industriale. Ma ecco prima la sorpresa: questa volta con le pallottole ci si fa male davvero: ognuna di esse va a segno e, soprattutto, lascia il segno. Uccide. E a ogni morto ammazzato fanno da contraltare il dolore, la rabbia, la sete di vendetta. Per la prima volta la decantata violenza tarantiniana non è nè innocua, nè volutamente grottesca e sopra le righe come eravamo abituati: è violenza vera, dolorosa, necessaria, e non ci vengono affatto risparmiate le conseguenze e le lacrime che essa genera.
Come nel precedente Bastardi senza gloria, anche in Django Unchained Tarantino vuole riscrivere la Storia a modo suo, ribaltando tutto quello che finora avevamo immaginato sul Mito della Frontiera: qui gli schiavi sono colti, intelligenti e fieri, mentre gli stranieri (nel nostro caso il dentista tedesco Schultz) sono quelli che portano in giro per il mondo gli ideali di giustizia e libertà. Gli americani invece vengono descritti come un popolo razzista, gretto, ignorante, violento, dedito esclusivamente all'accumulo di enormi ricchezze costruite sulle spalle della povera gente. Non c'è infatti nel film un solo personaggio bianco che si salva (in tutti i sensi, sia moralmente che fisicamente), perfino l'anziano maggiordomo di colore dell'aguzzino schiavista, ormai totalmente asservito al padrone, non verrà risparmiato dalla sete di vendetta di Django, esattamente come Hitler, nel film precedente, finiva bruciato vivo dietro le quinte di un cinema.
Django Unchained è il film più bello, importante e riuscito di Quentin Tarantino. Non solo, ci vogliamo sbilanciare: è uno dei più grandi western di sempre, per il messaggio che restituisce e per l'enorme lezione di cinema e di civiltà che trasmette allo spettatore, oltre che uno dei più accorati appelli contro il razzismo e la stupidità umana: e se la scena in cui viene ridicolizzato il Ku-Klux-Klan ci fa sorridere e allentare la tensione, non possiamo invece negare la sinistra inquietudine che ci pervade quando assistiamo alla raccapricciante sequenza del teschio, in cui il ricco e spietato proprietario terriero (Leo Di Caprio, come al solito bravissimo) teorizza la sua delirante giustificazione 'scientifica' della schiavitù, esattamente come il nazismo faceva con gli ebrei. La storia si ripete sempre, ci dice il regista, e pazienza se la ricostruzione non è accurata e filologica come 'si dovrebbe fare': mai come in questo caso il risultato finale è infatti più importante della confezione. Con buona pace di Spike Lee e degli anti-tarantiniani duri e puri, che (stupidamente) non cambiano mai idea.