Per fare questo esperimento Tarantino ha portato sullo schermo uno dei temi centrali della storia degli Stati Uniti: la violenza dello schiavismo. A pochi anni dalla Guerra di indipendenza un dentista di origini tedesche (Christoph Waltz) vaga per gli Stati del sud in cerca di fuorilegge da consegnare - morti- alle autorità. Per riuscire a scovare due delle sue prede e riscuotere le taglie libera lo schiavo Django (Jamie Foxx) e lo trasforma nella versione afroamericana di Clint Eastwood.
Il film che nasce è un western a fumetti violento e surreale, dove la vendetta è il motore di tutta la vicenda. Non solo visto che la versione di Tarantino non prevede eroi. Django è un giustiziere mosso solo da uno scopo: non vuole porre fine alla schiavitù, ma salvare sua moglie (Kerry Washington). Come in ogni film del regista di Pulp Fiction le citazioni sono infinite. A partire dal titolo stesso, che è un omaggio a Django del 1966 di Corbucci con Franco Nero, presente nel lungometraggio in un cammeo. Oltre al titolo il film non ha nulla in comune con il suo antenato nobile di cui Django Unchained potrebbe essere la versione pop.
Geniale la figura di Calvin J. Candie, interpretata da uno spietato Leonardo DiCaprio, un narcisista pieno di sé che come consigliere ha uno schiavo affrancato (Samuel L. Jackson). La fine della sua piantagione sarà disastrosa. Django - con occhiali da sole e doppiopetto dandy - farà saltare in aria tutto, non prima di aver macellato a colpi di pistola decine di uomini. L'ultimo lavoro di Tarantino è la continuazione tematica di Bastardi senza gloria. Anche questa volta vendetta, gioco delle parti, finzione sono i temi con cui il regista dà prova della sua maturità, prediligendo alla visione distopica dello spazio e del tempo, uno dei suoi tratti distintivi, un andamento classico.
Degno di nota anche l'episodio in cui un Ku Klux Klan agli albori porta i cappucci bianchi con i buchi per gli occhi in punti sbagliati, dando vita a un battibecco tragicomico che da solo è più forte di centinaia di parole di condanna. Altra chicca sono le musiche. C'è il gigantesco Ennio Morricone, in coppia con Elisa, e con lui ci sono due pezzi che hanno fatto la storia del western all'Italiana: il tema di Django di Corbucci (all'inizio) e Lo chiamavano trinità di Franco Micalizzi (alla fine), che segnano i confini temporali del film. In molti hanno definito Django il film più controverso della produzione del regista americano. Tarantino ha obiettato: «Tra sette mesi lo guarderete sulle pay tv in mutande alle quattro di pomeriggio. Quanto può essere controversa una cosa del genere?».