«300 figli e nipoti di rivoluzionari spagnoli si sono riuniti per celebrare il 76° anniversario della rivoluzione spagnola, scoppiata il 19 luglio 1936, dopo il colpo di stato di Franco contro la Repubblica. Molto legati allo spirito anarco-sindacalista che fu il fermento delle prime ore di questa rivoluzione, incominciata con l'appello allo sciopero generale, lanciato dalla CNT e dall'UGT, i figli e le figlie dei rivoluzionari della prima ora continuano oggi a difendere "il vero contenuto sociale della Repubblica".»
Così, un articolo del 23 luglio di quest'anno, intitolato "I rivoluzionari spagnoli ricordano" - sul sito l@dépêche - riferiva a proposito delle celebrazioni, a Tolosa, per il 76° anniversario della rivoluzione spagnola.
L'utilizzo sensazionale di una "formula shock" - così cara al giornalismo - vorrebbe far credere all'esistenza di una qualche sorta di gene ereditario della rivoluzione. Tipo, qualcosa di iscritto nel DNA di alcuni, come il colore degli occhi o come l'emofilia; un po' come per il "sangue blu" dei nobili e dei reali, che verrebbe trasmesso per "diritto divino".
Lo studio della storia, però, così come la conoscenza di quelli che possono essere definiti "vissuti familiari", avrebbe dovuto da tempo insegnarci a diffidare delle apparenze, per quanto possano essere "fraterne" o "rivoluzionarie". C'è un bel libro - di cui bisognerà riparlare -, "Une résurgence anarchiste" di Tomas Ibanez e Salvador Gurucharri, che testimonia a proposito della creazione di alcuni gruppi, all'interno della CNT in esilio, al fine di intensificare la lotta contro lo stato fascista spagnolo - da una parte - ed a proposito delle divisioni, all'interno di una stessa "famiglia" e delle lotte interne per il potere e per il controllo di un organizzazione che aveva la vocazione a diventare "di massa" - dall'altra.
Così come, per quanto riguarda un periodo differente, c'è un altro documento che merita un'attenta lettura: "Ma guerre d'Espagne. Brigades internationales : la fin d'un mythe", di "Sygmunt Stein.
Dopo più di 76 anni, la sola idea di cercare di mettere insieme, in una stessa comunione, gli eredi dei combattenti della Colonna Durruti e quelli della direzione del Movimento Libertario in esilio (sorta di élite, formata da dirigenti senza controllo né mandato, auto-proclamatasi e preoccupata solamente di rimanere su posizioni immobiliste, abbellite da una sorta di demagogia purista, e impegnata a fare tutti quei piccoli aggiustamenti "personali" e "familiari" all'interno dell'organizzazione) non ha più, da tempo, alcuna credibilità.