(tratto da The Terminal, 2004)
Due anni fa, nel mio post intitolato Babele (qui potete rileggerlo), proponevo una riflessione sulle capacità linguistiche di noi italiani e sulle positive iniziative del Politecnico di Milano e di Torino di attivare corsi esclusivamente in inglese. Iniziative che avevano scatenato le solite polemiche conservatrici, puntualmente ritornate a galla nelle scorse settimane, in risposta alla decisione presa dalla prof.ssa Amanda Ferrario, Preside del Liceo Classico Tito Livio di Milano, di creare delle classi che seguiranno le lezioni solo in inglese, fin dalla Quarta Ginnasio. Il progetto è stato strutturato bene: lo Shenker fornirà (per i primi due anni gratuitamente) dei corsi intensivi ai docenti, consentendo loro di accrescere la dimestichezza con una lingua che non gli è propria. Le obiezioni sono insensate:
- i nostri ragazzi non conoscono l'italiano, figuriamoci l'inglese;
- la difficoltà del latino e del greco sarebbe accresciuta dalla scarsa conoscenza della lingua di studio e di supporto;
- il lavoro degli insegnanti diventerebbe ancora più complesso, senza considerare il fatto che dovranno spendere molte ore in corsi di inglese fuori orario lavorativo (in questa affermazione, sento odore di sindacato...).
Obiezioni a mio parere vuote:
- non è compito del liceo o in generale della scuola secondaria insegnare la lingua italiana, che rimane un compito fondamentale della scuola primaria. Che poi ne sia capace, se ne può discutere.
- Rosa - Rosae - Rosae non cambia in inglese, fidatevi.
- la Preside ha spiegato che c'è assoluta volontarietà, nell'ambito di una proposta a cui gli insegnanti possono o meno aderire. Inoltre, la possibilità di frequentare i corsi intensivi è stata accolta molto positivamente, perchè molti ritengono importante approfondire la personale conoscenza linguistica. Il sindacato può dunque rasserenarsi, nessun insegnante è stato maltrattato.
L'unica obiezione che può avere un fondamento è legata al rischio di creare delle differenziazioni all'interno della scuola, in quanto le classi "inglesi" potrebbero non riuscire a stare al passo con i programmi a causa delle iniziali difficoltà linguistiche. Ecco perché nella prima fase avrei coinvolto insegnanti madrelingua, mantenendo la possibilità per gli attuali insegnanti di frequentare i corsi di lingua e organizzando anche degli scambi con scuole inglesi, dove poter assistere alle lezioni e apprendere i metodi di insegnamento. In questo modo, si potrebbero aprire in un secondo momento delle collaborazioni con scuole estere, creando programmi di scambio strutturali sia per i studenti, sia per il corpo docente.
L'iniziativa della prof.ssa Ferrario è una bella innovazione per la scuola ed è un'opportunità che gli studenti dovranno cercare di sfruttare, perché il mondo procede a una velocità doppia rispetto alla nostra e occorre esserci dentro. Alberto Forchielli, presidente di Osservatorio Asia e profondo conoscitore delle dinamiche lavorative internazionali, in un'intervista su Radio24, alla domanda: "Che profili sono ricercati maggiormente in questo periodo?" ha risposto: "Prima di tutto persone che conoscano bene l'inglese. Non serve essere degli ottimi matematici, ingegneri o fisici se non si ha padronanza della lingua con cui occorre comunicare all'estero".
E voi, che rapporto avete con le lingue straniere? E cosa ne pensate del percorso intrapreso dal Tito Livio di Milano?