Un festival cinematografico a Doha,nel Qatar, voluto qualche anno fa, dopo il crollo delle "torri gemelle" a New-York, da Jane Rosenthal e Robert De Niro, ci ha proposto più di una riflessione sulle "primavere arabe" in un momento particolare in cui, specie dopo le recentissime elezioni tunise, c'è poca chiarezza sui futuri scenari politici, economici e sociali di questi Paesi della sponda sud del Mediterraneo.
L'Arte ha sempre il privilegio di antevedere.
Pertanto vale la pena forse di cercare di cogliere e di comprendere, attraverso il messaggio proposto da questi giovani registi , tutto il "comprensibile" oggi dato.
E questo per poter poi noi fare possibilmente, una lettura , magari la più oggettiva dei fatti ma che sia comunque contestualizzata.
E mai avulsa o falsata da "lenti" non idonee.
E cominciamo da "Boxing with her" di Latifa Robbana Doghiri e Salem Trabelsi.
Qui si racconta di nomi noti e di successo nel mondo della box femminile africana, che tuttavia, per amore di questo sport, in contesti islamici, subiscono quotidianamente la gogna in quanto donne disposte ad esibire le nudità del proprio corpo su di un ring, ottenendo in cambio denaro e successo.
Latifa e Salem, i nostri giovani registi tunisini, felici per il riconoscimento dei loro meriti artistici, non sono molto convinti , ad esempio, che la vittoria di Ehnnada, il partito islamico moderato, vincitore giorni fa in Tunisia, darà alla gente realmente ciò che promette.
E questo specie alle donne.
Certo, senza dubbio, meglio della tirannide dei tempi di Ben Alì. Ma non basta.
E lo pensano i "due" ma anche molti altri loro coetanei. Proprio perché non è quello che le giovani generazioni desiderano e gridano ,a grande voce ,per il proprio futuro avvenire.
Chiedono democrazia. E democrazia in Africa settentrionale è ancora al momento, ahimé, una parola troppo"forte".
Infatti "Rouge Parole" di Elyes Baccar , altro film ospite della rassegna,racconta minuto per minuto tutta la defenestrazione di Ben Alì con grande dovizia di particolari e tanto realismo.
Senza lesinare sui fotogrammi.
Dalla Tunisia all'Egitto, si va poi anche a piazza Tahrir.
C'è qui,invece, "On the road to downtown", che racconta della vita di sei persone, socialmente molto diverse, che si trovano comunque a vivere lo stesso dramma e sono strettamente legate al luogo simbolo della cacciata di Mubarak ossia la "piazza".
"Normal" dell'algerino Merzak Allouache, a mio avviso il più interessante, è un vero e proprio metafilm.
Protagonista ne è un regista che intende smontare, dopo averlo realizzato, il suo film per inserire le proteste di piazza del suo Paese(siamo in Algeria) e il malcontento della gente comune contro il vomito di assurdità, che viene sciorinato invece da chi parla come uno zombie dopo anni e anni di dittature d'ogni tipo.
E, infine, un cenno merita "Lust" di Khaked El Hagar, che ci porta nelle periferie disumane di Alessandria d'Egitto,nella sua povertà e in quella rabbia a stento contenuta.
Quasi una predizione, appunto, di quella che sarà poi la rivolta che ha messo fine allo strapotere di Mubarak ma che ha lasciato anche parecchi interrogativi senza risposta.
Questo comunque è quasi normale(perciò nessuna meraviglia!) quando, per anni e anni ,non si è mai messi in condizione di esercitare il più elementare dei diritti umani ossia quello della libertà di parola.
Che è poi è "TUTTO" nella storia dei popoli.
Pensiamoci.
A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)