Il fiume si riprende Genova.
Vedo le immagini dalla mia stanzetta londinese, un rettangolo caotico di libri, vestiti e moquette. È il cinque novembre, il giorno del complotto delle polveri. Stasera, qui a Londra, spareranno fuochi d’artificio a memoria di quel Parlamento che per poco non fu fatto saltare in aria. È il cinque novembre, e vedo Genova che macera le sue strade in una lingua di fango. Automobili, cassonetti della spazzatura, portoni, lampioni, aiuole, un urlo senza alfabeto che sale da città, Esiste ancora il mare?, Come la chiamava De Andrè, Dolcenera?, Siamo ancora, davvero, in Italia?.
La mia stanza è affollata: gli spazi sono un problema, ci sono fotografie appese alle pareti e una nostalgia fedifraga e malata si arrampica sui vetri delle finestre. Da qui si scorge una strada che pare un provinciale; odore di patatine fritte e kebab, case popolari basse e squadrate, un parco che comincia con un prato per gli spacciatori. È sempre Londra. Guardo Genova e penso che è sempre, nonostante tutto, Italia. Con quei sei morti, con l’acqua che soffoca e il cielo che si ribalta e si strizza come un sudario fradicio.
Piove sul Paese ho lasciato. Quello in cui vorrei tornare. In altri tempi avremmo detto Non ci resta che piangere, oggi è diverso: in quest’ora dolente diciamo ad alcuni che non hanno alcun diritto di piangere, perché sì, forse la terra si sgretola per natura e talvolta il pianeta è violento e distruttivo, ma qui, loro, hanno scatenato una furia predatoria. La solita. Il profitto che divora il paesaggio, che consente di edificare sui letti dei fiumi, che cementifica e degrada e ignora le regole basilari del vivere in sintonia con una natura che reclama spazi. In meno di tre settimane la distruzione ha livellato dove si era osato troppo: e adesso si allineano i morti e si grida alle colpe. E le colpe ci sono, ci sono sempre state. Il cinque novembre del milleseicentocinque, Guy Fawkes, cattolico e assolutista, fu arrestato insieme ad altri cospiratori, prima che si attuasse il loro piano: assassinare re Giacomo I, scozzese, e tutti i membri del Parlamento, facendo esplodere la Camera dei Lord. Scopo: eliminare gran parte dell’aristocrazia protestante e favorire una nuova politica cattolica. Il complotto fallì. Tuttavia, in modo sottile e suggestivo, l’immagine di un Parlamento messo a ferro e fuoco si è caricata di un forte significato metaforico: al di là delle motivazioni di Guy Fawkes, la Camera dei Lord che brucia è diventata il simbolo del falò delle vecchie classi dirigenti – quelle inutili e colpevoli -, la fiamma della rivoluzione che inizia, la tabula rasa da cui, forse, si potrà solo risalire.
Qualcuno ha detto che un Paese civile si misura anche con la cura e l’attenzione che ha verso il territorio. Probabilmente, oggi, a Genova, sono tutti d’accordo. Non è facile, però, da qui, osservare questo sgretolarsi: sono i pezzi di un Paese che cade, frantumi di cultura e politica e tessuto sociale che adesso soffocano anche nel fango. Da Londra conto i detriti e la frane che hanno sfigurato la Liguria, poi mi guardo attorno e so che sono lontana, e non mi sento affatto meglio.