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Doruzu (ドールズ、Dolls). Soggetto, regia e montaggio: Kitano Takeshi. Scenografia: Isoda Norihiro. Fotografia: Yanagijima Katsumi. Costumi: YamamotoYōji. Colonna sonora: Joe Hisaishi. Interpreti e personaggi principali: Kanno Miho(Sawako); Nishijima Hidetoshi (Matsumoto); Mihashi Tatsuja (Hiro); Daike Yūko(la giovane Ryōko); Matsubara Chieko (Ryōko, la donna del parco); Fukada Kyōko(Haruna); Takeshige Tsutomu Produzione:Bandai Visual Company, Office Kitano, TV Tokyo, Tokyo FM Broadcasting Company. Durata: 114'. Uscita nelle sale giapponesi: 12 ottobre 2002.Link: Mark Schilling (Japan Times) - Chris MaGee (Toronto J-Film PowWow) - Luigi Garella (Gli spietati) - Asian Movie Web - Giovanni Lancelotti (Script)PIA: Commenti: 3,5/5 All'uscita delle sale: 68/100Punteggio ★★★1/2 Tre storie d’amore e dimorte. Il giovane Matsumoto cede alle insistenze dei genitori, decide disposare la figlia di un superiore e lascia la fidanzata Sawako, che tenta ilsuicidio ed è ricoverata in una clinica psichiatrica. Informato dell’accaduto,Matsumoto abbandona la cerimonia di nozze e ritorna da Sawako: i due, uniti dauna lunga fune rossa (che nella mitologia asiatica e in particolare giapponese rappresenta il legame del destino fra due persone, cioè la natura di anime gemelle), vagabondano senza meta, fino a trovare, insieme, la morte.Lo yakuza Hiro, ormai vecchio emalato, ricorda con nostalgia il tempo passato, quando lavorava come operaio e,per rincorrere denaro e potere, lasciò Ryōko, la ragazza che ogni giorno gliportava l' obento al parco. Hiroritrova Ryōko sulla stessa panchina dei loro incontri giovanili, dove lei lo haaspettato per trent’anni, ma viene ucciso da una gang rivale. Nakui è un fanatico groupie della pop star Haruna:quando la cantante, sfigurata da un incidente automobilistico, si ritira dallescene e rifiuta ogni contatto per non mostrare il viso sfregiato, egli siacceca per poterla avvicinare. Nakui muore, investito da un’auto, dopo averincontrato Haruna.Kitano mette inscena una triplice love story intrisadi egoismo, dominata dall’inevitabilità del rimorso e cosmicamente pessimista. Unfilm crudele e violento, dove non sono le pallottole a uccidere, ma il fato;allo stesso tempo un film poetico, girato con un linguaggio complesso e maturo.Temi e formedell’opera sono apertamente dichiarati già nel prologo, affidato allemarionette bunraku del teatronazionale di Tokyo: manovrata da burattinai dall’espressione impassibile onascosta, la cortigiana Umegawa[1]propone all’amante Chubei di fuggire con lei, implorandolo inutilmente dirinunziare al folle gesto d’amore che gli costerà la condanna a morte. L’amoregenera dolore e nasconde la morte, elemento “inevitabile” nel cinema di Kitano,morte quale approdo delle scorciatoie per il successo, percorse da chidimentica l’avvertimento di Umegawa: “onore, gloria e fortuna sono soltantoeffimeri granelli di sabbia, che diventano polvere sulle strade perYamato”. Il temafondamentale di Dolls è appunto quellodell’incapacità umana, e soprattutto maschile, di decidere secondo le ragionidel sentimento, e non per interesse: non sceglie per amore Matsumoto, così come– prima di lui – lo yakuza Hiro. Edegualmente incapace di determinarsi secondo libertà appare l’universofemminile, confinato nella dipendenza dalle vicende dei corrispondenti maschili,ma in certo modo da questi avulso (Sawako e Ryōko non riconoscono gli amati: iloro gesti, disperati e definitivi, sembrano così perdere significato ediventare narcisistici). All’inevitabileinfelicità cui l’umanità è destinata Kitano contrappone il ritmico fluire dellestagioni e la bellezza dei loro differenti colori[2]. Laserenità della natura enfatizza vacuità e cattiveria dell’agire umano (inalcuni momenti può venire alla mente il Kim Ki Duk di “Primavera, Estate,Autunno, Inverno … e ancora primavera”) ed attenua il tono mortifero di Dolls, in un riuscito “tentativocromoterapico”[3].Analoga la funzione degli splendidi costumi ideati da YamamotoYōji e della colonna sonora di Joe Hisaishi,all’ultimo episodio della collaborazione iniziata nel 1991 con “Il silenzio delmare”. Il ritmo delfilm è sincopato, come spesso avviene nel cinema di Kitano. Prevalgono macchinafissa e long takes soprattutto nelleparti dedicate agli erranti Matsumoto e Sawako, che si muovono lenti,gravemente, schiacciati da rimorso e follia; non mancano però momenti nei qualile inquadrature si moltiplicano e s’inseguono serrate, muovendo indietro eavanti nel tempo[4].È il caso del flashback che spiega ladecisione di Matsumoto[5] e diquello dedicato al tentato di suicidio di Sawako[6].Tipicamente kitaniani, ancora, i momenti in cui “un’intera situazione vienecondensata e ‘congelata’ in una o due inquadrature con un effetto di sintesi edi intensità stupefacente”[7] e ilgioco infantile a rappresentare la felicità di coppia[8]. Kitano non hamai nascosto che avrebbe dovuto raccontare soltanto dei vagabondi erranti e diaver aggiunto gli altri due episodi perché il film raggiungesse una duratacommerciale: di qui una certa disarmonia fra le tre storie di Dolls[9]. Latripartizione nulla aggiunge al senso dell’opera (siamo in un territorio lontano,ad esempio, dalle motivazioni narrative della composizione episodica di Three Times di Hou Hsiao-Hsien) e,forse, ne pregiudica equilibrio e fascinazione[10]. Adispetto di ciò, il film dimostra ancora una volta la profondità, tematica ecinematografica, di Kitano Takeshi. [Gian Piero Chieppa]
[1]L’opera rappresentata è Meido no hikyaku(I messi dell’inferno), scritta nel1711 da Chikamatsu Monzaemon, una delle figure più importanti del teatrogiapponese di tutti i tempi.[2]Piuttosto feroce l’accusa di “artificiosità” ai “paesaggi da cartolina” riservatada T. Kezich all’uscita del film nelle sale italiane (Dolls, Sbadigliorientali, in Il Corriere della Sera, 2 novembre 2002). [3]L. Leone, Takeshi Kitano, in AA.VV., Storia del cinema giapponese dal1970 al 2010, a cura di E. Azzano – R. Reale – R. Rosati, 2010, pag. 112. [4]F. Tassi, Cinema cubista per pupazzi umani, Cineforum n. 421, pag. 12 -16.[5]Veloce alternanza di primi piani sui genitori, inquadrati ora singolarmente orainsieme, che incalzano Matsumoto perchè acconsenta “alla richiesta delpresidente”, “un’occasione che capita una sola volta nella vita” (leistituzioni presentano il conto all’individuo); la debole resistenza diMatsumoto (le ragioni del cuore cedono agli imperativi dell’interesse); lafutura sposa ed i suoceri in un sorridente flashforward(l’aspetto rassicurante del potere in carica); ancora un primo piano dellamadre; ulteriore flashback, piùremoto, questa volta su Sawako, felice al tempo del primo appuntamento conMatsumoto; primo piano finale, ancora sulla madre. [6]Il montaggio alterna soggettività ed oggettività, mescola l’ordine cronologicodi primo appuntamento, tentato suicidio e cerimonia nuziale, rincorre leragioni della narrazione e non la concatenazione spazio–temporale degli eventi.La questione è approfondita in A. Gerow, Kitano Takeshi, 2007, pag. 193.[7]V. Bucchieri, Takeshi Kitano, 2000, pag. 21. Moltissimi gli esempi ditale capacità in Dolls: taglienti, ad esempio, i pochi quadri dedicati allarimozione dei mobili dalla camera di Matsumoto, terminata la quale il padrecerca di placare le lacrime della madre dicendole “è stata una sua scelta”.Rimozione del figlio, della vergogna e di molto altro ancora in una solabattuta: con la scena visivamente colma dello spazio vuoto lasciato daltrasloco. [8]Lo scherzo di Matsumoto nel flashbackche ricorda il tempo felice del primo appuntamento con Sawako fa tornare allamente il Beat Takeshi di Hana-bi, che “indovina” le carte della moglievedendole nello specchietto retrovisore dell’auto.[9]Sono però molto interessanti i raccordi sonori inseriti fra le diverse storie.Non tanto la suoneria del cellulare di Matsumoto, che anticipa la hit virale di Haruna, ma soprattutto ilsuono sordo e ritmato della corda con la quale Matsumoto lega Sawako allapropria auto, identico al rumore della porta dell’ascensore che urta uncadavere nell’episodio di Hiro (con le diverse sorgenti dapprima confinatefuori campo e poi manifestate allo spettatore con un movimento laterale dellamacchia da presa).[10] C. Abe, Beat Takeshi vs. TakeshiKitano, 2005, pag. 258.
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