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Andiamo con ordine: è lo scorso autunno 2010, e la Fondazione Dolomiti indice un contest per la realizzazione di un nuovo logo. L'occasione è ghiotta: le Dolomiti sono state riconosciute patrimonio dell'Unesco, e il nuovo logo dovrà quindi (cito dal bando, che trovate completo qui): "rappresentare evocativamente il concetto che le Dolomiti costituiscono Patrimonio mondiale naturale dell’UNESCO, […] esprimere il criterio geologico – geomorfologico che ha portato al riconoscimento, esprimere il criterio estetico - paesaggistico che ha portato al riconoscimento […]". Al contest partecipano 434 designer, con proposte delle più varie. Secondo il bando, la Giuria è composta da "cinque esperti in possesso di competenza nelle seguenti materie: design, marketing territoriale, comunicazione dell’immagine aziendale, paesaggio, cultura e arte moderna". Se volete segnarvi i nomi, eccoli: Marco Zucco, Cesare Micheletti, Renato Cracina, Martin Bertagnolli e Paolo Manfrini.
Trapelano le prime indiscrezioni quando la giuria sottopone il logo selezionate al CdA della Fondazione Dolomiti. L'Assessore Provinciale Alberto Vettoretto si sbottona: «E' molto bello. E sul logo c'è stata l'unanimità non solo della commissione, ma anche del CdA della Fondazione». Finalmente, a Novembre, il logo viene ufficializzato: uno skyline bianco (un po' montagne, un po' grattacieli) in campo rosso e la scritta Dolomiti nelle quattro lingue. A realizzarlo è stato Arnaldo Tranti, di Saint Cristophe, Aosta, di professione designer. Volete sapere quanto ha vinto Tranti? La bellezza di 30.000 euro (sì: trentamila euro), il premio stabilito.
Fin qui, sarebbe una storia italiana come tante altre. Senonché, alla pubblicazione dei risultati del concorso, il pubblico insorge a tutti i livelli: stampa, politica, web - basta cercare sulla rete per trovare pagine e pagine di critiche al designer e, soprattutto, alla giuria che lo ha proclamato vincitore. Qualcuno arriva a dire: «Sembra disegnato col Commodore 64» e persino «Sembra l'invito a cementificare anche le Dolomiti».
«Povere Dolomiti, Dolomieu si starà rivoltando nella tomba. Questo marchio – dice il sindaco di Pieve di Cadore Maria Antonia Ciotti –non dà la dimensione di quanto sia bello il nostro patrimonio dell'Umanità». Il capogruppo della Lega nord a Belluno, Silvano Serafini, rincara la dose: «Mi sembra di vedere una televisione difettosa». Il presidente della Provincia Gianpaolo Bottacin non può permettersi di dire che è una cagata, e se ne esce con: «Al di là del marchio, l'importante è che ci sia un unico ombrello per le Dolomiti e che con questo si potrà fare promozione». Al di là del marchio? 30.000 euro di premio e "al di là del marchio"?
Il sito Mountainblog indice persino un sondaggio. Rispondono in quasi 500: il 63% dice che "è inadatto ad esprimere le Dolomiti"; per il 30%, invece, è semplicemente "brutto".
Il colpo di grazia lo dà Oliviero Toscani, uno che ultimamente è diventato la brutta copia di se stesso ma che, a colpi, raggiunge livelli di lucidità inaspettati: «Si, li ho visti i loghi. Chi era la giuria? Anzi, glielo dico io. Erano per caso politici ed esperti di marketing? Questi elaborati sono di una povertà mortificante. Fanno schifo. […] Si vede che sono stati selezionati da gente che lavora nel marketing. Gente incompetente che farebbe meglio a cambiare mestiere». E ancora: «Sono come tre rotoli di carta igienica, uguali l'uno all'altro. Non ce n'è uno meglio o uno peggio, fanno schifo tutti e tre. La rovina della pubblicità è il marketing. I loro esperti sono masse di incompetenti che hanno creato dei lavori buoni per dei subumani. Quegli stessi subumani che poi sono chiamati a valutare cos'è l'estetica, cos'è l'arte. E' molto triste, ma questi sono i risultati. E si vede».
Nel mezzo delle polemiche, Tranti prova a spiegare il suo logo
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">con una lettera inviata alla stampa: «È su questa tesi che il marchio prende forma, lasciando aperta questa speciale e unica ambiguità visiva: Dolomiti come costruzioni. Le Dolomiti non sono solo Natura. C’è anche l’uomo. Lui le abita e le vive e oggi si assume un’enorme responsabilità per continuare a godere della loro straordinaria bellezza. Ecco quindi che quell’elemento “urbano” che traspare e che ad alcuni da fastidio, ci racconta che quelle cime saranno osservate da occhi attenti, nel loro percorso di tipo naturale e antropizzato, tutelate e aiutate.»
(domani la seconda parte)
(sì, perché non è ancora finita)
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