PEJA STOJAKOVIC (New Orleans Hornets)
Dopo I primi 2 anni da rookie, nelle successive sei stagioni (5 a Sacramento e una ad Indianapolis ) ha totalizzato una media punti di 20.8 in regular season e di 18.3 ai playoff, con un picco nella stagione 2007-2008 in cui tirando con il 44.1 di media dalla lunga distanza guida gli Hornets al titolo nella division. L’ala piccola da poco 33enne, e settimo tiratore da 3 punti di sempre, negli anni successivi ha subito un lento ma costante ed inesorabile declino nelle percentuali realizzative, pur mantenendo lo stesso minutaggio a partita nelle diverse franchigie che lo hanno schierato: è il segno più evidente di quello che sembra un declino delle sue prestazioni. Indubbiamente i principali imputati sono da ricercarsi nell’età che avanza e soprattutto in una lunga serie di infortuni. Ed è così che, dopo la scorsa stagione chiusa con un 12.6 di media (il minimo dalla sua seconda stagione in NBA), Peja comincerà probabilmente il suo primo anno da sesto uomo di lusso degli Hornets, soprattutto con l’arrivo di facce nuove in Louisiana. Da non sottovalutare l’ipotesi da parte della proprietà di considerarla una pedina di scambio per eventuali trade, considerando anche che è al suo ultimo anno di contratto, e con il rischio di perderlo l’anno prossimo come free agent. Le sue condizioni fisiche e la sua risposta quando sarà chiamato in causa determineranno il suo futuro. Lui resta tranquillo e consapevole delle sue possibilità e dei limiti a cui può andare incontro.
ELTON BRAND (Philadelphia 76ers)
La prima scelta assoluta di Chicago del 1999, oggi si appresta ad iniziare la sua undicesima stagione da professionista, cercando quelle luci che potrebbero rischiarare le ultime stagioni in chiaroscuro. Nelle prime 8 annate da protagonista, con le maglie dei Bulls e dei Clippers i suoi numeri sono stati da All-Star (due partecipazioni), con quasi 20 punti e 10 rimbalzi di media a partita ogni stagione (rimane il sesto rimbalzista offensivo della lega in attività). I guai cominciano nella stagione 2007/2008 quando subisce la rottura del tendine d’achille e salta praticamente l’intera stagione. L’anno successivo passa ai 76ers e ancora diversi guai fisici lo costringono più volte a lunghe soste, lasciando tuttavia il segno in alcune delle poche partite giocate con ottime statistiche personali. Finalmente lo scorso anno riesce ad uscire da questo lungo periodo di convalescenza e gioca con continuità, ma a fine stagione totalizza soltanto 13.1 punti e 6.1 rimbalzi a partita, la media peggiore della sua intera carriera, ben lontani dagli standard che ci si attede dal giocatore più pagato della franchigia. Viene dato nello starting five del neo coach Doug Collins per la prossima stagione, forse una delle ultime e di sicuro una possibilità da non mancare per non avviarsi definitivamente verso il tramonto della sua carriera, ora che ha già raggiunto i 31 anni.
Sembra dunque che per Brand quest’anno non possano esserci più scuse, i guai fisici infatti sembrano essersi risolti, consentendogli finalmente di lavorare per recuperare quelle sue potenzialità realizzative ed atletiche che mostrava a Los Angeles, sponda Clippers. Obiettivo per lui, dimostrate a tutto l’ambiente dei 76ers che non hanno sbagliato ad investire pesantemente su di lui due stagioni fa.
Arrivato dai Dallas Mavericks nello scorso febbraio in una trade con Washington, che ha coinvolto nello scambio sette giocatori, è ancora in fase di riabilitazione dopo un grave infortunio accorsogli dopo appena 4 partite con la nuova casacca dei Wizards e che gli ha causato la rottura del legamento crociato anteriore con interessamento aggiuntivo anche per il menisco, problemi per i quali la prognosi va solitamente dagli 8 ai 12 mesi. Già nella stagione precedente con i Mavs (2008/2009), saltò le ultime 30 partite per problemi alla caviglia e al polso sinistro. Fino a quel momento era rimasto fedele ai suoi alti standard di carriera, che lo hanno premiato come All Star nel 2007, raggiungendo i 18 punti e 5.1 rimbalzi a partita, ma al rientro, per la prima metà di stagione successiva, il suo rendimento si era abbassato, non riuscendo nemmeno più a trovare adeguati minuti in campo (nelle 31 partite l’ultima stagione a Dallas è andato a referto solo 9 volte) tanto da indurre la franchigia texana allo scambio con Washington. La situazione attuale è ancora incerta, nonostante lo stesso Howard tranquillizzi i suoi fan sui vari blog e social network ipotizzando un ritorno per i primi di novembre, è difficile per lo stesso staff medico dei Wizards poter confermare tali auspici, si sa infatti quanto sia alto il rischio di successivi infortuni susseguenti quelli di questo tipo, e di fatto dopo 8 mesi di riabilitazione Howard ancora non svolge allenamento sul parquet e con la palla. Il suo posto è stato intanto preso dall’ala piccola Al Thornton (due volte All Star da Rookie nel 2008 e 2009), preso dai Clippers. Brutta tegola quindi per la carriera di Josh che ha tutti i numeri per poter essere un leader di esperienza in una squadra giovane e talentuosa, con aspirazioni serie di post-season, ma ancora in fase di costruzione. La società del presidente Ernie Grunfeld sembra tuttavia credergli e alla fine del mercato estivo, non essendo per lui arrivata altra migliore offerta, in quanto free agent, gli ha offerto un contratto di un solo anno aggiuntivo (con stipendio “ridotto”), una sorta di verifica delle sue condizioni fisiche e mentali, da constatare al rientro dall’infortunio, per guadagnarsi così la leadership in campo e un migliore contratto per la stagione futura (lock-out dei giocatori della Lega per la prossima stagione permettendo).
JERMAINE O’NEAL (Boston Celtics)
Anche per il 32enne Jermaine O’Neal il discorso è più o meno simile ai precedenti. Dopo i primi 4 anni trascorsi a Portland (proveniente direttamente dalla High School), in cui non trovava sufficiente spazio, con l’approdo ai Pacers matura definitivamente un rendimento da top player, che lo porterà nelle sue complessive 13 stagioni nella NBA ad essere scelto 6 volte per l’All Star Game, e a piazzarsi per 8 stagioni nella top ten per le stoppate e 3 volte in quella dei migliori 10 rimbalzisti della lega, unitamente ad una media punti in carriera di 14.2 che ha superato più volte i 20 con indosso la maglia dei Pacers, prima di cominciare la sua parabola discendente nel rendimento, cominciata nella stagione 2007/2008 ad Indianapolis dove saltò 40 partite per infortunio al ginocchio sinistro. Da allora ha cercato di ritrovarsi prima a Toronto poi a Miami, e giocando poco più che 68 partite in due anni a causa di infortuni vari, e infine riuscendo solo la scorsa stagione, ancora a Miami, a giocare di nuovo praticamente un’annata intera da titolare. Quest’anno ha davanti l’occasione di un rilancio definitivo che lo riporti ai numeri di qualche stagione fa, cosa che doveva avvenire già con le passate esperienze ai Raptors e agli Heat, ma ora ha colto l’occasione che gli hanno fornito i Celtics, vista l’assenza fino agli inizi del 2011 di Kendrick Perkins, alla ricerca di muscoli ed abilità nel pitturato (prima ancora che di punti), tanto in difesa quanto in attacco, là dove in gara 7 è stata persa la lotta con i Lakers nelle scorse Finals. E’ lui maggiormente indicato come centro titolare di questa prima parte di stagione, pronto a fare staffetta con Shaq. Anche per lui dunque è l’anno delle risposte, se la sua carriera si avvia alla conclusione o riuscirà ad essere ancora efficace in un top team.
Dire che l’impresa è ardua è forse dir poco nel suo caso, a Hedo si chiede infatti di rimpiazzare di fatto Stoudemire. Per quella che è stata una delle pedine più calde dello scorso mercato dei free agent la domanda da porsi è “può il turco adattarsi a giocare da ala grande dopo aver giocato da sempre come ala piccola, viste le sue doti di fine tiratore con buon trattamento di palla? ”, forse la risposta è da cercarsi in quest’altra domanda: “può Turkoglu riguadagnare il suo rendimento di una volta, quello da giocatore determinate, quello di Orlando per intenderci, dopo la deludente stagione scorsa a Toronto?”. Il turco ha dalla sua parte l’esperienza, 31 anni e un bagaglio di 10 stagioni NBA. La forma fisica sembra non averlo ancora abbandonato, non ha nemmeno dovuto fronteggiare particolari infortuni. Forse con i Raptors semplicemente non si è riuscito ad inserire negli schemi di Triano e nella chimica di squadra (ammesso che ce ne fosse stata una), certo alla causa di Toronto sarebbe stato determinante averlo nel pieno del suo rendimento: probabile che i play off non sarebbero sfuggiti. Per lui ora è tempo di voltare di nuovo pagina, una nuova scommessa, in una squadra di grande esperienza, soprattutto per quanto riguarda l’età, accanto ai senatori Steve Nash e Grant Hill, rispettivamente 37 e 38 anni, ma “vecchietti” ancora in grado di dire la loro sul campo. Forse la vera incognita per lui nella prossima stagione è capire quanto può adattarsi ad un ruolo che ha raramente ricoperto (se saprà ad esempio utilizzare più energicamente il corpo, giocare spalle al canestro e ricevere in post basso ), riuscendo a totalizzare buona parte dei punti di Stoudemire, senza trascurare le ottime doti di playmaker e ballhandler di Hedo, che potrebbero tornar comodo per servire il gioco delle guardie Nash e Richardson, o nel costruirsi soluzioni personali. Le condizioni di impiego sono dunque molteplici e del resto i Suns di Coach Alvin Gentry sono una squadra dal sistema di gioco piuttosto offensivo, ed in questo potrebbe trovare giovamento il turco, per le sue attitudini sicuramente più spiccate nella metà campo avversaria piuttosto che nella propria.