Magazine Diario personale

Domani niente scuola

Creato il 30 marzo 2012 da Povna @povna

E’ molto raro trovare qualcuno che parli con gli occhi giusti della scuola anche tra chi ci lavora (testimonianza triste ne sono i tanti, troppi, stupidari che fioriscono, stagione dopo stagione). Ancora più raro, se è per questo, trovare qualcuno che quello sguardo acuto lo sappia offrire volontariamente tra coloro che dalla scuola sono lontani dai tempi in cui nei banchi c’erano loro. A maggior ragione se provengono dal mondo intellettuale di una certa letteratura (o di una certa università).
Andrea Bajani rappresenta, per questo, una felice eccezione. Perché in Domani niente scuola trova il coraggio di scrivere con compunzione del pianeta oscuro adolescenza, senza luoghi comuni, ma con la forza di chi in un progetto ci crede per davvero. E (ancora più importante) con gli occhi di chi quei ragazzi di cui parla li vuole seguire con attenzione e serietà, e la testa di chi si ricorda che – la biologia grazie al cielo non si cambia – possono scorrere i tempi, ma i quindici anni restano i quindici anni a tutte le età.
Se poi queste doti rare si coniugano con una penna felice, lieve, ironica, il gioco è fatto. E il risultato sarà questo réportage che è militante proprio là dove vuole essere ludico; perché in questo caso impegno significa ricordare il privilegio di purezza della gioventù. Così, viaggio dopo viaggio, Bajani segue in uno dei riti classici (quello appunto della gita di classe) le sue tre scolaresche. Ma le mète si sovrappongono, gli itinerari anche. E non perché i ragazzi (ricordati tutti con nomi, forse, inventati, ma individualmente) siano tutti uguali. Anzi. Ma perché lo scrittore, un po’ per gioco Peter Pan, un po’ antropologo, riesce a cogliere insieme l’elemento peculiare e la ripetitività unica che si fa rituale.
E alla fine di tutto resta Bajani – creatura anfibia, volontariamente fattosi ragazzo, ma già adulto – a metà di un guado ineludibile. Perché crescere significa, si sa, la perdita dell’innocenza; guadagnare in consapevolezza al prezzo della nostalgia. Non stupisce troppo allora che l’ultima immagine del libro – di quei ragazzi che “non cercano di ripararsi” dalla pioggia, perché “pensare all’acqua come una minaccia è una fissazione degli adulti” – sembri passare il testimone a un’altra delle voci italiane narrative recenti resasi capace di chiamare su di sé il terribile privilegio dell’infanzia e dell’adolescenza: quella di Paolo Zanotti e dei suoi Bambini bonsai. Pioggia anche lì, che annichilisce gli adulti (che si rifugiano atterriti nel letargo): mentre le cateratte del cielo segnano il via delle avventure di Pepe e Primavera. Anche loro sotto l’acqua che scroscia, come gli adolescenti di Bajani, anche loro puri e convinti. Perché anche per loro valgono le ultime parole di questo libro breve e indispensabile: “Esattamente come è una fissazione degli adulti quella di smettere di cantare a voce alta, o di smettere di correre. O come quella di smettere di fidarsi”.

E con questo scritto, che le sembra proprio assai adatto, la ‘povna arriva in scivolata al termine del lungo marzo; che è stato (appunto) lungo, e strano, e denso, come sempre. E partecipa al Venerdì del libro.


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