Anna Lombroso per il Simplicissimus
Una deliziosa storiella di Ovadia racconta di un rabbino che vede per terra un portafogli imbottito di banconote. Ma non può raccoglierlo e toccare il denaro perché è il santo giorno dello shabbat. Così chiede a Dio un miracolo e Dio misericordioso glielo concede: così sabato per quel giorno fu domenica.
Devono aver compiuto lo stesso prodigio temporale i senatori che hanno allungato il 2013 fino al 31 dicembre 2016, quel tanto necessario a erogare cento milioni a una pattuglia di costruttori che dal 1992 al 31 dicembre scorso non avevano presentato i loro programmi per l’edilizia convenzionata previsti dagli artt. 7 e 8 della L. n. 10/1977. Provvedimento promosso col fine di favorire una forma di ‘compenetrazione funzionale’ tra edilizia pubblica e privata in modo che operatori privati, quali cooperative ed imprese edili, in esito a convenzione con l’Ente locale competente (il Comune), potessero realizzano alloggi godendo d’un indubbio vantaggio nel contributo afferente al permesso di costruire, ridotto alla sola quota degli oneri d’urbanizzazione; inoltre, potendo intervenire in ambiti territoriali riservati dal P.r.g. all’edilizia abitativa per i meno abbienti, compensa il minor margine operativo con l’accrescimento delle aree d’attività.
Due vantaggi in uno, quindi per i costruttori, cui nel caso in oggetto vengono erogati finanziamenti per costruire case per le forze dell’ordine, insieme alla riduzione degli oneri di urbanizzazione.
Potrà godere dell’ampio margine concesso dal senato nelle vesti della provvidenza, un manipolo di tycoon del cemento ben armato – il manipolo – anche se piuttosto indolente, come è fisiologico che sia in un Paese dove sono abituati a ricevere principeschi anche senza doverli chiedere.
Questo in particolare si combina con un altro piovuto da un cielo plumbeo che dovrebbe consigliare altre destinazioni per le magre risorse dello Stato: con l’articolo 30 della Legge 98-2013, le regioni possano dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, effettuando un’arbitraria revisione degli strumenti urbanistici, quegli standard e quelle prescrizioni riguardanti i rapporti tra spazi pubblici e spazi privati, tra volumi edilizi e spazi aperti – fra cui la distanza minima di 10 metri, che è il pilastro fondamentale di tutela della civile convivenza e dell’igiene nei tessuti abitativi urbani italiani, con il rischio di scardinare il sistema di regole e di tutele a difesa del paesaggio e dei beni culturali. Si tratta di un provvedimento legislativo adottato per favorire la più sfacciata speculazione edilizia, grazie a una “licenza” estesa fino al 10 maggio 2017, e che per aggiungere sfacciataggine al sopruso, nel caso di demolizioni e ricostruzioni con miglioramenti energetici o con edilizia sostenibile gli aumenti volumetrici potranno addirittura essere rispettivamente del 70% e dell’80% della volumetria esistente anche su aree di diverse da quelle dell’edificio originario (artt. 4, comma 3° e 11). Saranno inoltre consentiti nuovi centri commerciali nei centri storici anche in deroga agli strumenti urbanistici, vengono sospesi gli attuali limiti alle altezze degli edifici, non resta traccia delle necessarie autorizzazioni ambientali per le aree tutelate con il vincolo paesaggistico o con il vincolo idrogeologico o rientranti in siti di importanza comunitaria e zone di protezione speciale.
Per carità i poliziotti, come d’altra parte tutti i cittadini hanno diritto a una casa di civile abitazione. Governi, organizzazioni e agenzie delle Nazioni Unite ripetono instancabilmente che la casa è uno dei diritti e dei “beni” umani fondamentali, insieme al cibo, all’acqua, alla salute e all’istruzione e niente viene fatto per rispettare tale diritto nei paesi sottosviluppati e poveri, ma neanche nei paesi opulenti. Si moltiplicano le “anti città” dentro alle città: bidonville, baraccopoli, manufatti di lamiere, minacciano quei diritti e spaventano i bravi cittadini come bubboni inquietanti, pronti a scoppiare rovesciando pericoli, violenza, ribellione.
Eppure ci sono migliaia di edifici mai finiti che guardano l’inciviltà abitativa da orbite vuote, di condomini come scatole vuote. Eppure c’è un patrimonio di caserme, palazzi abbandonati, edilizia lasciata marcire che potrebbe essere restituita alla collettività. Eppure proprio quella porterebbe a risparmi cospicui quelli delle risorse spese in affitti stellari per uffici pubblici, altri regali offerti benevolmente a immobiliaristi e costruttori.
Ma si sa che per molti gli effetti profittevoli delle guerre consistono in proficue ricostruzioni. La guerra che si sta conducendo contro la sovranità di popoli e stati, ripone molte speranze nelle “costruzioni”, soprattutto in quelle di grandi galere, sotto forma di alveari per schiavi operosi, centri commerciali dove far spendere i loro magri redditi, sale bingo dove accendere le loro meste speranze, banche e severe dove far sedere l’esercito silenzioso al servizio dei soliti padroni, come quello che continua a imperare da noi e che scelse come motto elettorale: «Padroni in casa nostra», come a dire padroni di mutui che strangolano, di debiti che fiaccano, di ricatti che ci renderanno nomadi e stranieri in ogni luogo.