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Domenico Quirico, il giornalista de La Stampa rapito in Siria, è tornato in Italia e ha pronunciato le sue prime parole da uomo libero. Atterrato a mezzanotte e venti circa all’aeroporto di Ciampino, ad accoglierlo c’erano il Ministro degli Esteri Emma Bonino e il segretario generale Michele Valensise. La notizia della sua liberazione è arrivata poco prima delle 20 ed è stata la Farnesina ad avvertire il direttore del quotidiano, Mario Calabresi, seguita a ruota da una telefonata del Presidente del Consiglio Enrico Letta. Si sono conclusi ieri i suoi 5 mesi di prigionia: il 6 aprile scorso Quirico era entrato in territorio siriano dal confine libanese con obiettivo raggiungere la città di Homs, per raccontare, come fa da anni, le vicende della primavera araba e la guerra tra i ribelli e l’esercito regolare che interessava la zona. Il 9 aprile si è avuto l’ultimo contatto con il giornalista prima del silenzio totale, interrotto solo da una breve telefonata, avvenuta il 6 giugno alla moglie Giulietta. Per oltre venti giorni dall’ultimo contatto ad aprile, i familiari e il suo giornale avevano mantenuto il più stretto riserbo al fine di non pregiudicare eventuali contatti: la notizia della scomparsa è stata infatti resa nota il 30 aprile. Poche frasi quelle dette ieri sera da un Domenico Quirico visibilmente stanco e provato, ma allo stesso tempo lucido «E’ come se fossi vissuto cinque mesi su Marte, ho scoperto solo oggi chi è il presidente della Repubblica del mio Paese», «Ho avuto paura, non mi hanno trattato bene». Emerge anche una certa delusione e profonda amarezza sul suo volto «Sapete che io ho cercato di raccontare la rivoluzione siriana e le sue sofferenze, può essere che questa rivoluzione mi abbia in qualche modo tradito. Probabilmente non è più la stessa rivoluzione che ho incontrato due anni fa ad Aleppo, laica e democratica». E su quest’“altra cosa” che sta avvenendo in Siria, come dice lo stesso Quirico, si dovrà riflettere. Nel primo colloquio con Calabresi, Quirico si è espresso con molta chiarezza «Cinque mesi sono lunghi ma ce l’ho fatta, come ho detto a qualcuno mi sembra di essere stato su Marte, adesso sono tornato sulla terra e ho appreso alcune notizie di come si è evoluto il mondo, ma devo lavorare per ritrovare. E’ stata una terribile esperienza ma una grande esperienza. Chiedo scusa ma tu sai qual è la mia idea di giornalismo, di andare dove la gente soffre ogni tanto tocca soffrire come loro. Questa storia mi ha insegnato alcune cose». Poche frasi che ci fanno capire il modo di fare e l’eccezionale tempra di questo giornalista. All’indomani del suo ritorno Quirico è stato ricevuto nella prima mattinata a Palazzo Chigi insieme alla moglie, alla presenza del vicepresidente del consiglio e ministro dell’Interno, Angelino Alfano, del ministro degli Esteri, Emma Bonino, e del direttore Mario Calabresi, prima di essere portato in procura. Lo stesso direttore de La Stampa, dopo aver espresso la sua felicità, spiega come il sequestro di Quirico sia stato «un sequestro durissimo, fatto di tanti spostamenti e di momenti difficili». Infatti Quirico, assieme all’altro occidentale rapito e liberato ieri assieme a lui, il belga Pierre Piccinin, sarebbe stato in un primo momento detenuto a Qusayr, poi spostato in un altro nascondiglio, sempre nella zona di Homs. I contatti e le relazioni diplomatiche si sono man mano complicate con l’aggravarsi della questione siriana, ma al momento non ci sono notizie sul pagamento di un riscatto. Allo scopo di scoprire i dettagli del rapimento Quirico ha raggiunto la procura di Roma, che aveva aperto un procedimento, stamattina verso le 11.30. Intanto della vicenda parla proprio il suo compagno di prigionia, Piccinin: «Domenico ha subito due finte esecuzioni con una pistola», e poi ancora «Una volta abbiamo cercato di profittare del momento della preghiera. Ci siamo impossessati di due kalashnikov e siamo fuggiti nella campagna per due giorni. Poi ci hanno ripreso e siano stati puniti molto severamente». Una delle tante volte in cui i due giornalisti avrebbero subito violenze fisiche. «All’inizio, per ingannare il tempo e vincere la tensione, abbiamo inventato un piccolo gioco. Pensavamo a dei personaggi storici, immaginavamo cosa avrebbero detto e fatto in quelle stesse circostanze in cui ci trovavamo. Poi le cose sono peggiorate, man mano che ci spostavano in lungo e in largo per la Siria crescevano i momenti di incertezza e scoramento. Ci dicevamo: “resisti, farlo per la famiglia, per chi ci vuole bene, ci aspettano”. E alla fine ci siamo riusciti» conclude. Lo abbiamo aspettato Quirico, lo ha aspettato la sua redazione, con il fiocco giallo che lo ha commosso. Ed è per questo che oggi è un giorno di festa: per l’Italia, per La Stampa, per tutti i giornalisti. Per Quirico che potrà a breve riabbracciare le sue due figlie a Govone (CN), quelle figlie che il 1° luglio avevano diffuso in un video le parole per chiedere il rilascio del padre. Lo è per la diplomazia italiana e per la Farnesina che ha compiuto, a detta di tutti, anche di Piccinin, uno splendido lavoro per farlo tornare in Italia. Sperando che Domenico Quirico, dopo questa brutta esperienza, possa e se la senta di continuare a informarci con il suo modo di fare Giornalismo.