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Domus de làdiri

Creato il 16 ottobre 2024 da Indian

31 Ott 2016 @ 11:48 PM

Lezioni condivise 117 – La dimora rurale

Trattare di Geografia nel XX secolo dava alla mente, al ragionamento, alla concentrazione sull’oggetto, come l’impressione di uno sballottamento in mare su una zattera o su una barchetta che tiene a stento l’onda, come se i geografi fossero ancora suggestionati dalla poesia di Braudel – da loro conteso agli storici -,  e avessero un approccio metapoetico alla materia. La disciplina, in cerca di spazio da oltre un secolo, trovò poi identità nella frammentazione e più che assestarsi, galleggiava, tra movimento, divenire e il rischio di essere assorbita da altre discipline più forti, come la filosofia, la storia e le scienze naturali, che a mala pena gli avrebbero lasciato la topografia e poco altro.

Nello sforzo di trovare alla geografia una collocazione come scienza, Arrigo Lorenzi (docente all’Università di Padova e antifascista), al Congresso geografico italiano di Bologna del 1947, sancì l’esistenza di linguaggi diversi tra geografi e distinse la disciplina in fisica, economica e antropica. Cessò così (teoricamente) la Geografia come corpo unitario.

Secondo Lorenzi, la vera conoscenza di una regione quale associazione di fenomeni naturali e umani, deve individuare il nesso intimo che esiste tra i diversi fatti che costituiscono una comunità. In un territorio, aspetti geomorfologici e climatici sono inseparabili dalla storia dell’agricoltura, l’azione della natura, l’opera dell’uomo e si combinano. Il cenno alle abitazioni rurali e la loro forma, le scelte insediative e i loro caratteri storici, sembra così attribuire alla ricerca naturalistica il valore di premessa agli studi “oicografici”, cioè sulle case rustiche, e quindi le “correlazioni” tra uomo e ambiente, che in tal modo si rivelano quale momento essenziale della ricerca geografica.

Il discorso sull’incivilimento che guiderà gli studi antropogeografici è così impostato, ma è importante cogliere la progressione delle indagini di Lorenzi, dove l’osservazione naturalistica è sempre finalizzata al progresso delle condizioni civili della regione. La sua prima produzione è dominata dalla figura e dalla proposta scientifica di Giovanni Marinelli (studioso delle abitazioni friulane, le “casere” sul mare, dunque case rurali tradizionali, spie di trasformazioni culturali in atto); la successiva, quella che culmina con gli Studi sui tipi antropogeografici della pianura padana, pur fortemente autonoma, tiene in massimo conto i suggerimenti di Olinto Marinelli (figlio di Giovanni; fautore dell’unità organica della geografia come scienza e metodo, sostenitore dell’esplorazione diretta e della cartografia) da cui deriva anche l’interesse per l’antropogeografia di Friedrich Ratzel (leader del determinismo geografico e autore dell’espressione spazio vitale) e l’attenzione per il metodo genetico (evoluzione del paesaggio come ciclo geografico) di William Morris Davis. Sono tuttavia indicazioni rimeditate e rielaborate secondo il pensiero positivista di Roberto Ardirò (la cui filosofia è basata sui fatti e sull’argomentazione induttiva, contro le deduzioni a priori, metafisiche, che non hanno fondamento nell’esperienza; senza certezze definitive, ma riformulabili come le teorie scientifiche: un “naturalismo” evoluzionistico o realismo positivo, non riduzionista), ma soprattutto secondo il modello cattaniano di geografia (vista come scienza umanistica, che si manifesta sotto forma di pensiero di programmazione regionale. Un geoumanesimo in rapporto fra le condizioni naturali e l’ opera dell’ uomo in ambito locale).

I fatti e fenomeni osservati dal viaggiatore-geografo sono inseriti in una precisa visione del progresso, comparando sistematicamente condizioni civili e materiali delle campagne che viene visitando. L’individualità economico-agraria del “tipo delle risaie piemontesi” ha, per esempio, unificato unità naturali tra loro diverse. I tetti di segale e canne palustri nel “tipo delle recenti bonifiche meccaniche” vanno, infatti, scomparendo per “miracolo di scienza umana”. Attribuisce l’estinguersi delle case con tetti di paglia del “tipo dei magredi del Friuli occidentale” all’emigrazione temporanea e non all’attività dei governi. Il paesaggio rurale è “correlazione fisicoantropica” della geografica friulana. Fondamentale la conclusione di Lorenzi secondo cui l’ideale di patria “degenera quando non si rispetta lo stesso sentimento negli uomini di un’altra comunione e si vuole sopraffarli”.

A livello europeo la disunità della materia riguarda anche le varie scuole: la francese (deterministica, principio di causalità: nulla è casuale) con Paul Vidal e gli Annales, la tedesca (paesaggistica) con Friedrich Ratzel e l’italiana (regionalistica). Si tratta di approssimazioni tra incontri, derivazioni e tagli netti, in cui si è inserito, per trarne vantaggi, anche il nazismo.

Per i tedeschi il paesaggio non è più il prodotto di fattori climatici, naturalistici o altro, ma il luogo ove agisce l’uomo (Ratzel). Tesi maldestramente accolta nel Mein Kampf di Hitler per giustificare la tesi della diversità biologica delle razze umane.

In occasione del Congresso geografico internazionale del 1925 tenutosi a Il Cairo, dagli allievi di Paul Vidal De La Blache e dagli Annales, nascerà la Geografia storica (1924-1926).

In quella circostanza, Jean Demangeot, francese e Renato Biasutti, italiano, proposero gli studi sulla dimora rurale, riconoscendo ai villaggi e alle proprie dimore importanza antropologica per la relazione tra quella società e le sue abitazioni. Demangeot negò che il geografo debba occuparsi di geografia urbana in quanto nelle città viene a mancare la natura, l’ambiente.

In Sardegna si studiava, in particolare, la differenziazione tra le dimore rurali; tra casa campidanese (in làdiri) e barbaricina (in pietra), nonché l’estensione orizzontale o verticale. Anche il contadino può avere l’esigenza di un abbellimento, di una distinzione. Le dimore rurali vengono studiate anche secondo diversi parametri (altitudine, longitudine, distanze…). Esse si differenziano anche su parametri antropologici ed etnici.

Renè De Planc studiò in Umbria e là riconobbe la proiezione della città sulla campagna perché, sostiene, dalla città ci si proietta sulla campagna.

In Italia i geografi non si costituiscono in equipe. Appare loro più facile studiare secondo le ripartizioni amministrative, invece che geofisiche naturali. Eppure le ripartizioni amministrative non hanno giustificazione geografica sociale e storica. La loro scelta come base di studio è discutibile. Gli studi vanno molto a rilento in Italia, perché la geografia evolve, vengono superati discorsi già programmati e si lavora su parametri vecchi.

In Francia il discorso si insterilisce e prevale l’aspetto economico-funzionale, come attrezzo, come un aratro, un carro…

Alcuni allievi di Vidal entrano a far parte del circolo degli Annales, si distinguono Demangeot, De Montour (fisico), Maximilien Sorrìs; essi si dedicano allo studio del paesaggio. Fare geografia, indagare per comprendere la geografia e anche la storia, le condizioni storiche delle regioni geografiche, che in Francia sono un’ottantina e furono individuate durante la Rivoluzione Francese su criteri fisico-geografici. Ciò ha dato luogo a un’unità fisica e sociale e trovò spazio anche in Italia alla fine della II guerra mondiale, quando ormai in Francia questo pensiero stava tramontando.

L’indagine consiste in una ricognizione sul campo di una regione per studiarne montagne, corsi d’acqua, tradizioni popolari, storia e via dicendo. Dopodichè si stabilivano le interconnessioni tra i vari aspetti, fino a pervenire alla differenziazione regionale, non solo fisica, ma anche di interazione tra uomo e ambiente. L’uomo si adatta all’ambiente fisico, secondo Ratzel e dispone dell’organizzazione degli elementi della natura (Vidal).

Il geografo tout-court deve interessarsi degli uomini, dunque le zone spopolate non appartengono alla geografia, ma alla fisica, perché non c’è società, non c’è uomo che vi interagisca.

Lo spazio terrestre è necessariamente limitato ed “è la prima e immodificabile condizione della vita sulla terra. Ci si può immaginare un popolo in questo o quello spazio, ma per l’umanità c’è esclusivamente lo spazio della terra” (Ratzel 1899).

La geografia italiana rimaneva sostanzialmente Ratzeliana anche dopo Lorenzi.

La svolta avviene negli anni 60, specie con Lucio Gambi, romagnolo,  e Osvaldo Baldacci.

Gambi segue la linea della geografia umana: l’uomo che riplasma la terra, va oltre la geografia esclusivamente fisica e introduce nella disciplina la storia, le culture, l’ambiente, le politiche urbanistiche e sociali. Il suo insegnamento ha riguardato soprattutto la Geografia politica ed economica, sui problemi dell’organizzazione umana del territorio, passando dalla casa rurale all’ambiente globale, la lettura delle carte geografiche, l’orientarsi sugli atlanti, capire i paesaggi. E’ stato un geografo scomodo per i tradizionalisti.

Fu autore nel ’68 di un rivoluzionario “Geografia e contestazione”, ove considera l’ambiente naturale come problema politico di valore economico e sociale.

“La geografia è la storia di come l’uomo riplasma e rifoggia la terra in termini umani, per ricrearla come opera sua”. Di qui la svolta, l’approccio geografico che diventa anche storico e sociale, saper guardare avanti, e capire dove avrebbe portato la cultura, o incultura, dell’ambiente.

Baldacci, sassarese, docente universitario a Cagliari, Bari e Roma, fu uno strenuo difensore dell’unita della geografia, fronteggiando le istanze provenienti da nuove tendenze geografiche, ad alcune delle quali non attribuiva dignità scientifica, la sua opera principale fu infatti “Geografia generale” (1972), il cui scopo era “la formazione dello spirito geografico, che rende omogeneo e comprensivo il senso di ogni nostro discorso, pur nelle disparita delle situazioni e degli atteggiamenti”. Secondo la sua concezione, il geografo deve interessarsi di tutti i “fatti” che nascono dal rapporto uomo-natura: dalla geografia fisica (geomorfologia, climatologia), a quella umana (in particolare dell’insediamento), dalla geografia regionale alla storia del pensiero geografico e alla didattica della geografia.

 (Geografia storica – 14.01.1998) MP

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   tatiana

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Inviato il 11/07/2017 alle 11:30

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