Memorie dell’Oratorio
Don Calosso
In quell’anno (1826) una solenne missione che ebbe luogo nel paese di Buttigliera, mi porse opportunità di ascoltare parecchie prediche. La rinomanza dei predicatori traeva gente da tutte parti. lo pure ci andava con molti altri. Fatta una istruzione ed una meditazione in sulla sera, lasciavansi liberi gli uditori di recarsi alle case loro.
Una di quelle sere di aprile, mi recava a casa in mezzo alla moltitudine, e tra noi eravi un certo D. Calosso di Chieri, uomo assai pio, il quale sebbene curvo dagli anni faceva quel lungo tratto di via per recarsi ad ascoltare i missionari. Desso era cappellano di Morialdo. Il vedere un fanciullo di piccola statura, col capo scoperto, capelli irti ed inanellati camminare in gran silenzio in mezzo agli altri trasse sopra di me il suo sguardo e prese a parlarmi così:
- Figlio mio, donde vieni? Sei forse andato anche tu alla missione?
– Sì, signore, sono andato alla predica dei missionarii.
– Che cosa avrai tu mai potuto capire! Forse tua mamma ti avrebbe fatta qualche predica più opportuna, non è vero?
– È vero, mia madre mi fa sovente delle buone prediche; ma vado anche assai volentieri ad ascoltare quelle dei missionari e mi sembra di averle capite.
– Se tu sai dirmi quattro parole delle prediche di quest’oggi io ti do quattro soldi.
– Mi dica soltanto se desidera che io le dica della prima o della seconda predica.
– Come più ti piace, purché tu mi dica quattro parole. Ti ricordi di che cosa si trattò nella prima predica?
– Nella prima predica si parlò della necessità di darsi a Dio per tempo e non differire la conversione.
– E che cosa fu detto in quella predica? – soggiunse il venerando vecchio alquanto maravigliato.
– Me ne ricordo assai bene e se vuole gliela recito tutta.
E senza altro attendere cominciai ad esporre l’esordio, poi i tre punti, cioè che colui il quale differisce la sua conversione corre gran pericolo che gli manchi il tempo, la grazia o la volontà. Egli mi lasciò continuare per oltre mezz’ora in mezzo alla moltitudine; di poi si fece ad interrogarmi così: «Come è tuo nome, i tuoi parenti, hai fatto molte scuole?».
- Il mio nome è Giovanni, mio padre morì quando io era ancor bambino. Mia madre è vedova con cinque creature da mantenere. Ho imparato a leggere e un poco a scrivere.
– Non hai studiato il Donato o la grammatica?
– Non so che cosa siano.
– Ameresti di studiare?
– Assai, assai.
– Che cosa t’impedisce?
– Mio fratello Antonio.
– Perché Antonio non vuole lasciarti studiare?
– Perché non avendo egli voluto andare a scuola, dice che non vuole che altri perda tempo a studiare come egli l’ha perduto, ma se io ci potessi andare, sì che studierei e non perderei tempo.
– Per qual motivo desidereresti studiare?
– Per abbracciare lo stato ecclesiastico.
– E per qual motivo vorresti abbracciare questo stato?
– Per avvicinarmi, parlare, istruire nella religione tanti miei compagni, che non sono cattivi, ma diventano tali, perché niuno di loro ha cura.
Questo mio schietto e direi audace parlare fece grande impressione sopra quel santo sacerdote, che mentre io parlava non mi tolse mai di dosso lo sguardo. Venuti intanto ad un punto di strada, dove era mestieri separarci, mi lasciò con queste parole: «Sta di buon animo; io penserò a te e al tuo studio. Domenica vieni con tua madre a vedermi e conchiuderemo tutto».
La seguente domenica ci andai di fatto con mia madre e si convenne che egli stesso mi avrebbe fatto scuola, una volta al giorno, impiegando il rimanente della giornata a lavorare in campagna per appagare il fratello Antonio. Questi si contentò facilmente, perché ciò dovevasi cominciare dopo l’estate, quando i lavori campestri non danno più gran pensiero.
Io mi sono tosto messo nelle mani di D. Calosso, che soltanto da alcuni mesi era venuto a quella cappellania. Gli feci conoscere tutto me stesso. Ogni parola, ogni pensiero, ogni azione eragli prontamente manifestata. Ciò gli piacque assai, perché in simile guisa con fondamento potevami regolare nello spirituale e nel temporale.
Conobbi allora che voglia dire avere una guida stabile, di un fedele amico dell’anima, di cui fino a quel tempo era stato privo. Fra le altre cose mi proibì tosto una penitenza, che io era solito di fare, non adattata alla mia età e condizione. Mi incoraggiò a frequentar la confessione e la comunione, e mi ammaestrò intorno al modo di fare ogni giorno una breve meditazione o meglio un po’ di lettura spirituale. Tutto il tempo che poteva nei giorni festivi lo passava presso di lui. Ne’ giorni feriali, per quanto poteva, andava servirgli la santa messa.
Da quell’epoca ho cominciato a gustare che cosa sia vita spirituale, giacché prima agiva piuttosto materialmente e come macchina che fa una cosa, senza saperne la ragione.
Giovanni Bosco, “Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855″, con saggio introduttivo e note storiche a cura di Aldo Giraudo, Roma, LAS 2011.Link correlati:- Tutti i post di TGS Whiteboard sulle “Memorie dell’Oratorio”
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