Memorie dell’Oratorio
La vita del seminario.
I giorni del seminario sono presso poco sempre gli stessi; perciò io accennerò le cose in genere riserbandomi descrivere separatamente alcuni fatti particolari. Comincierò dai superiori.
Io amava molto i miei superiori, ed essi mi hanno sempre usato molta bontà; ma il mio cuore non era soddisfatto. Il Rettore e gli altri superiori solevano visitarsi all’arrivo dalle vacanze e quando si partiva per le medesime. Niuno andava a parlare con loro se non nei casi di ricevere qualche strillata. Uno dei superiori veniva per turno a prestar assistenza ogni settimana in Refettorio e nelle passeggiate e poi tutto era finito. Quante volte avrei voluto parlare, chiedere loro consiglio o scioglimento di dubbi, e ciò non poteva; anzi accadendo che qualche superiore passasse in mezzo ai seminaristi senza saperne la cagione, ognuno fuggiva precipitoso a destra e a sinistra come da una bestia nera. Ciò accendeva sempre di più il mio cuore di essere presto prete per trattenermi in mezzo ai giovanetti, per assisterli, ed appagarli ad ogni occorrenza.
In quanto ai compagni mi sono tenuto al suggerimento dell’amata mia Genitrice; vale a dire associarmi a’ compagni divoti di Maria, amanti dello studio e della pietà. Debbo dire per regola di chi frequenta il seminario, che in quello vi sono molti cherici di specchiata virtù, ma ve ne sono anche dei pericolosi. Non pochi giovani senza badare alla loro vocazione vanno in seminario senza avere ne spirito, né volontà del buon seminarista. Anzi io mi ricordo di aver udito cattivissimi discorsi da compagni. Ed una volta, fatta perquisizione ad alcuni allievi, furono trovati libri empi ed osceni di ogni genere. É vero che somiglianti compagni o deponevano volontariamente l’abito chericale, oppure venivano cacciati dal seminario appena conosciuti per quello che erano. Ma mentre dimoravano in seminario erano peste pei buoni e pei cattivi.
Per evitare il pericolo di tali condiscepoli io mi scelsi alcuni che erano notoriamente conosciuti per modelli di virtù. Essi erano Garigliano Guglielmo, Giacomelli Gioanni di Avigliana e di poi Comollo Luigi. Questi tre compagni furono per me un tesoro.
Le pratiche di pietà si adempivano assai bene. Ogni mattino messa, meditazione, la terza parte del Rosario; a mensa lettura edificante. In quel tempo leggevasi la storia eccl[esiasti]ca di Bercastel. La confessione era obbligatoria ogni quindici giorni, ma chi voleva poteva anche accostarsi tutti i sabati. La santa comunione però potevasi soltanto fare la domenica od in altra speciale solennità. Qualche volta si faceva lungo la settimana, ma per ciò fare bisognava commettere una disubbidienza. Era uopo scegliere l’ora di colazione, andare di soppiatto nell’attigua chiesa di S. Filippo, fare la comunione, e poi venire raggiungere i compagni al momento che tornavano allo studio o alla scuola. Questa infrazione di orario era proibita, ma i superiori ne davano tacito consenso, perché lo sapevano e talvolta vedevano, e non dicevano niente in contrario. Con questo mezzo ho potuto frequentare assai più la santa comunione, che posso chiamare con ragione il più efficace alimento della mia vocazione. A questo difetto di pietà si è ora provveduto, quando, per disposizione dell’Arcivescovo Gastaldi furono ordinate le cose da poter ogni mattino accostarsi alla comunione, purché uno siane preparato.
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