Memorie dell’Oratorio
Trasferimento nell’attuale Oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco.
Mentre succedevansi le cose sopramentovate, era venuta l’ultima domenica, in cui mi era ancora permesso di tenere l’Oratorio nel prato (15 marzo 1846). Io taceva tutto, ma tutti sapevano i miei imbarazzi e le mie spine. In sulla sera di quel giorno rimirai la moltitudine di fanciulli, che si trastullavano; e considerava la copiosa messe, che si andava preparando pel sacro ministero, per cui era solo di operai, sfinito di forze, di sanità male andata senza sapere dove avrei in avvenire potuto radunare i miei ragazzi. Mi sentii vivamente commosso.
Ritiratomi pertanto in disparte, mi posi a passeggiare da solo e forse per la prima volta mi sentii commosso fino alle lacrime. Passeggiando e alzando gli occhi al Cielo, mio Dio, esclamai, perché non mi fate palese il luogo in cui volete che io raccolga questi fanciulli? O fatemelo conoscere o ditemi quello che debbo fare?
Terminava quelle espressioni, quando giunge un cotale, di nome Pancrazio Soave che balbettando mi dice: “E’ vero che cerca un sito per fare un laboratorio?”
– Non un laboratorio, ma un Oratorio.
– Non so se sia lo stesso Oratorio o laboratorio; ma un sito c’è, lo venga a vedere. È di proprietà del Sig. Giuseppe Pinardi, onesta persona. Venga e farà un buon contratto.
Giunse opportuno in quel momento un fedele mio collega di Seminario, D. Merla Pietro, fondatore dell’Opera pia nota sotto al nome di famiglia di S. Pietro. Egli si occupava con zelo nel sacro ministero, ed aveva iniziato il suo istituto ad oggetto di provvedere al triste abbandono in cui si trovano tante zitelle o donne sgraziate, che, dopo aver scontato la pena del carcere, per lo più sono abborrite dalla società degli onesti a segno che loro riesce pressoché impossibile trovare chi loro voglia dare pane o lavoro. Quando a quel degno Sacerdote rimaneva qualche momento di tempo, correva con piacere in aiuto del suo amico, che per lo più si trovava solo in mezzo ad una moltitudine di ragazzi.
– Che c’è, disse appena mi vide, non ti vidi mai così malinconico. Ti colse qualche disgrazia?
– Disgrazia no, ma un grande imbarazzo. Oggi è l’ultimo giorno, che mi è permesso dimorare in questo prato. Siamo alla sera; rimangono due [ore] di giorno; debbo dire ai miei figli dove si raduneranno un’altra domenica e non so. Avvi qui un amico, che mi dice esservi un locale forse conveniente. Vieni, assisti un momento la ricreazione; io vado a vedere e presto saro di nuovo qua.
Giunto al luogo indicato vidi una casupola di un solo piano colla scala e balcone di legno tarlato, attorniata da orti, prati, campi. Io voleva salire la scala, ma il Pinardi ed il Pancrazio, no, mi dissero. Il sito destinato per Lei è qui di dietro. Era una tettoia prolungata, che da un lato appoggiava al muro, dall’altro terminava coll’altezza di circa un metro da terra. Poteva per necessità servire a magazzino o per legnaia e non di più. Per entrarci dentro ho dovuto tenere chino il capo a fine di non urtare nel solaio.
– Non mi serve, perché troppo bassa: dissi.
– Io la farò aggiustare come vuole, ripigliò graziosamente il Pinardi. Io scaverò, farò scalini, farò altro pavimento; ma desidero tanto che il suo laboratorio venga stabilito qui.
– Non un laboratorio, ma un Oratorio, una piccola chiesa per radunare dei giovanetti.
– Più volentieri ancora. Mi presterò assai di buon grado. Facciamo contratto. Sono anch’io cantore, verrò ad aiutarla; porterò due sedie, una per me l’altra per mia moglie. E poi in mia casa ho una lampana, la porterò ancora qua.
Quel dabben uomo sembrava che vaneggiasse per la contentezza di avere una chiesa in sua casa.
– Vi ringrazio, o mio buon amico, della vostra carità e del vostro buon volere. Accetto queste belle offerte. Se voi mi potete abbassare il pavimento non meno di un piede (cent. 50) io l’accetto, ma quanto dimandate?
– Trecento franchi; me ne vogliono dare di più, ma preferisco Lei, che vuole destinare questo locale al pubblico vantaggio ed alla religione.
– Ve ne do trecentoventi, purché mi diate anche la striscia di sito che lo circonda per la ricreazione dei giovani; purché mi promettiate che domenica prossima io possa già venir qua co’ miel ragazzi.
– Inteso, patto conchiuso: Venga pure. Tutto sarà ultimato.
Non cercai di più. Corsi tosto da’ miei giovani; li raccolsi intorno a me e ad alta voce mi posi a gridare: – Coraggio, miei figli, abbiamo un Oratorio più stabile del passato; avremo chiesa, sacristia, camere per le scuole, sito per la ricreazione. Domenica, domenica andremo nel novello Oratorio che e colà in casa Pinardi; e loro additava il luogo. Quelle parole furono accolte col più vivo entusiasmo. Chi faceva corse o salti di gioia; chi stava come immobile; chi gridava con voci e sarei per dire con urli e strilli. Ma commossi come chi prova un gran piacere e non sa come esprimerlo, trasportati da profonda gratitudine e per ringraziare la S. Vergine che aveva accolte ed esaudite le nostre preghiere, che in quel mattino stesso avevam fatto alla Madonna di Campagna, ci siamo inginocchiati per l’ultima volta in quel prato, ed abbiamo recitato il SS. Rosario dopo cui ognuno si ritiro a casa sua. Così veniva dato l’ultimo saluto a quel luogo, che ciascuno aveva amato per necessità, ma che per la speranza di averne un altro migliore abbandonava senza rincrescimento. La Domenica seguente solennita di Pasqua nel giorno 12 di Aprile, si trasportarono colà tutti gli attrezzi di chiesa e di ricreazione, e andammo a prendere possesso della nuova località.
Giovanni Bosco, “Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855″, con saggio introduttivo e note storiche a cura di Aldo Giraudo, Roma, LAS 2011.Link correlati:- Tutti i post di TGS Whiteboard sulle “Memorie dell’Oratorio”
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