Tanta spazzatura offre la televisione, fortunatamente ci sono eccezioni. Una di queste è la serie di Don Matteo, l’ormai celebre prete-detective interpretato da Terence Hill.
Nonostante sia la nona serie, appena ricominciata, è seguita in media da 8 milioni e mezzo di spettatori, con uno share oltre il 33%. Come ha spiegato Giuliano Guzzo, il segreto è che don Matteo è un personaggio affascinante nella sua straordinaria normalità. Soprattutto, è un sacerdote vero, un pastore prima che un investigatore. La sua, cioè, non è una caccia all’uomo, o per meglio dire al peccatore, ma al peccato; a don Matteo non interessa tanto una cattura, bensì una liberazione, quella dell’anima dei malfattori. Che puntualmente, prima dell’arresto, chiedono perdono.
L’esito paradossale e bellissimo è che, alla fine di ogni puntata, il colpevole – che pure sarà chiamato a pagare pienamente per le proprie responsabilità – è il personaggio più umano, quello che meglio si spoglia del proprio orgoglio per lasciarsi avvolgere dalla misericordia di Dio, che don Matteo offre nel solo modo in cui un sacerdote può offrirla veramente: con parole semplici, la voce bassa e lo sguardo carico d’amore.
Un altro segreto è che l’attore facilita a interpretare il suo ruolo: «il fatto che io sia credente e praticante è secondario nella scelta del ruolo. Comunque, da cattolico, mi sento particolarmente a mio agio nella veste di un prete. E forse ci metto un po’ di partecipazione interiore in più. Nelle scene dove era previsto che pregassi in chiesa, beh, qualche volta l’ho fatto veramente», ha spiegato, mostrando una fede forte e genuina.
Francamente, concordiamo con Guzzo, non si sa fino a quando lasceranno a don Matteo la licenza di parlare di Gesù Cristo e dei santi così liberamente, in prima serata, senza neppure un intellettuale laicista che, imprecando contro la Chiesa, ristabilisca la par condicio.
La redazione