Ché, confusión y botella (Photo credit: andresAZP (a.andres))
“Nessuno invoca la libertà di stampa, se non chi vuole abusarne” (Photo credit: The PIX-JOCKEY’s FAKE SHOW by Roberto Rizzato)
Mi ero ripromesso di non intervenire più sulla vicenda Sallusti, ma gli eventi – a quanto pare – corrono più veloci dei miei propositi. Si apre ora il capitolo grazia. Che il presidente della Repubblica potrebbe concedergli qualora il Parlamento non licenziasse una legge – che risulterebbe essere un provvedimento ad hoc, quindi ontologicamente opinabile -per far evitare il carcere ai giornalisti. Scrive bene, anzi benissimo Francesco Merlo su Repubblica (vi rimando a leggere il pezzo sul suo blog: http://www.
francescomerlo.it/): “…perché la vittima (il Nostro, ndr), che senza tentennamenti noi non vogliamo in prigione, è stato il gendarme del peggiore giornalismo illiberale italiano (chi può smentirlo?, ndr), uno dei cani da guardia di quel Silvio Berlusconi che per venti anni ha seminato la peste della diffamazione (e qui?, ndr), ben oltre l’articolo scritto ma non firmato da Renato Farina che ha infangato il giudice Cocilovo e che ancora oggi Sallusti rivendica come un’ opinione forte e non come un’infamia”. Vero, ha detto esattamente così. Non credevo alle mie orecchie quando l’ho sentito in conferenza stampa. Do la colpa alla tensione di un disperato costretto ai domiciliari: non si può definire “opinione forte” una stronzata palesemente falsa, detta sapendo di mistificare la realtà. Altrimenti perché io non potrei dire che il sole non esiste? E’ un’opinione anche la mia, no?
Scrive ancora Merlo, a proposito della messinscena “antibuonista” di uno “che non vuol piacere a tutti i costi” – leggi: che sta sulle palle a tutti. E che ci riesce alla grande. Ma non è questo il punto – e che non ha voluto chiedere scusa per il danno d’immagine e l’offesa personale che ha arrecato ad un giudice la cui unica colpa è quella di essersi trovato sulla strada la ‘penna diffamatoria’ della premiata ditta Sallusti-Farina. Penna, sì, non penne.
Perchè ciò che ha scritto Farina – e bene rimarcarlo – l’avrebbe potuto scrivere anche lo stesso Sallusti, visto che non si è opposto alla pubblicazione del pezzo del ‘radiato’. Di colui il quale mi fa vergognare di appartenere alla stessa categoria. Sallusti, invece, risponde in prima persona sulla base di una norma, questa sì ingiusta, che punisce il direttore responsabile per i pezzi redatti dai suoi sottoposti. Giusta è invece la legge che manda in carcere chi scrive menzogne sapendo di mentire e si rifiuta di rettificare o di scusarsi con l’interessato. No, questa’ultima persona – sebbene in estrema ratio – dietro le sbarre per un po’ – a rieducarsi – ci deve andare. “Sallusti in prigione – prosegue così l’analisi di Merlo – è il delitto perfetto del giornalismo asservito”. E’ il “frutto malato” di quel Berlusconi che “addomesticava” i giornalisti o “li faceva tacere e dunque li imprigionava
in una gabbia peggiore della galera”.
Meglio essere in galera o succubi di un prepotente che ti paga profumatamente?
La vicenda Sallusti colpisce la categoria, ma mi rincuora pensare che la mia categoria non si identifica con Sallusti e i tanti Sallusti sparsi come batteri nelle redazioni di tutta Italia, da Nord a Sud. Sallusti, di cui ci piace ricordare gli sfavillanti esordi di cronista di razza. Molto meno la carriera al soldo del reuccio delle tv. “Ma il paradosso – ragiona ancora Merlo – è che ci ritroviamo ad indignarci non per l’onore di una vittima ma per quello di un carnefice, e del suo stesso giornale”.
E’ anche grazie ai Sallusti che Berlusconi ha potuto regnare incontrastato – anche quando politicamente all’opposizione – per venti e passa anni. Quindi prima di indignarci per un collega che finisce in gattabuia – la qual cosa di per sé, al netto del caso specifico, sarebbe da condannare senza se e senza ma – domandiamoci cosa ha fatto (e scritto) professionalmente parlando il direttore del Giornale una volta finito sul libro paga di ‘Burlesconi’. Un contrappasso dantesco è questo. Che colpisce, tra gli altri, e per fortuna, anche “lingue servili”, scendiletto e “scrittori sotto dettatura”.
Don Pizzarro